Alcuni lettori mi hanno scritto dopo il mio articolo sui corsi di educazione sessuale a scuola. Mi chiedono: e tu che cosa proponi?
La prima cosa che propongo o, meglio, che ho già proposto nell’articolo, è di non dare per scontato nulla da parte di ciascuno.
Secondo: l’espressione “educazione sessuale” si riferisce a qualcosa che per sua natura non può essere relegato a un settore.
Scusate la banalità dell’esempio, che comunque può aiutare a capire anche quelli meno esperti di certe questioni. È come se un allenatore di giovani calciatori volesse insegnare ai ragazzi a fare uno stop senza mostrare loro come questo sia un momento del gioco durante una partita. Non si può dimenticare che la sfera della sessualità è legata in un modo particolare all’intimità della persona e non può essere separata da quel bisogno infinito di felicità che è possibile esprimere anche attraverso il sesso.
Terzo: anche per quanto riguarda la sessualità l’educazione si rifà a diverse concezioni della vita. Se forse si può impostare un corso di educazione sessuale conferendogli un taglio storico, è impensabile che una vera educazione sessuale prescinda dall’esperienza particolare che l’educatore sta vivendo. A proposito degli educatori mi viene in mente questo esempio che deriva dall’aver partecipato nel 1976 a un’attività di aiuto ai terremotati a Gemona del Friuli, epicentro di quel fenomeno tellurico disastroso.
In quella occasione oltre alle squadre di soccorso civili e militari vennero a prestare il loro servizio alcuni psicologi, molti provenienti dalla scuola del famoso professor Petter. Molti di essi si rivelarono fortemente politicizzati e critici nei confronti di quelli come noi che, oltre a un aiuto concreto nel campo sociale ed educativo, avevano a cuore il fatto di sostenere l’esperienza religiosa del popolo locale. Nonostante certe schermaglie durante le assemblee pubbliche, nacque comunque un rapporto di stima reciproca tra noi e loro. Una sera invitammo a cena una delle responsabili del gruppo degli psicologi, che di solito lavorava a Milano. Alla fine della cena, dopo qualche bicchierino di grappa, ci confessò di sentirsi così sola in una città che non conosceva dal ridursi ad andare in qualche mercato rionale fingendo uno svenimento, pur di sentirsi circondata dall’attenzione di qualcuno che si preoccupasse per lei.
Sia chiaro, forme di distanza fra teoria e prassi possiamo trovarne anche in ambiti diversi da quello indicato e comunque, in ogni caso, ci riportano alla necessità che l’insegnamento non prescinda mai dalla vita.
E qui, naturalmente, mi aspetto l’obiezione di chi pensa che non possa educare, parlando di sesso, se non chi lo abbia praticato intensamente, possibilmente in tutte le sue forme. Non è un caso che oggi, tra gli “esperti”, a volte si invitino perfino alcuni pornoattori, presentati come maestri della sessualità.
Lo sarebbero davvero, se l’attività sessuale fosse solo una prestazione. Ma se si comprende che la sessualità è legata per natura alla generazione della vita che noi tutti stiamo vivendo, al posto dei recordman di performance sessuali si chiamerebbero quelle mamme che hanno saputo generare e partorire figli anche nelle situazioni più difficili.
Può sembrare strano, ma questo l’avevano capito bene certi nostri progenitori, primitivi, che ci hanno lasciato certe statue o affreschi che presentano gli organi del sesso anche di dimensioni esagerate: non sono opera di porno adolescenti primitivi in vena di bravate, ma di chi adorava nell’espressione del sesso quella elementare del “misterioso” dono della vita.
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