La letteratura non è un obbligo da smaltire, ma un percorso di conoscenza in grado di svelare il mondo. La scuola dev'essere luogo di questa scoperta
Ogni lavoro, prima che un fare, dovrebbe diventare un percorso di conoscenza, perché introduce al rapporto con la realtà, con il mondo in cui viviamo. In modo particolare, vivere il lavoro nella scuola per me significa esercitare un rapporto con i ragazzi all’interno del quale nasce una scoperta. Non c’è rapporto senza scoperta e non c’è scoperta senza rapporto!
Accade, soprattutto in questo ultimo mese di scuola, che noi docenti tiriamo le somme di un anno trascorso con i nostri allievi, soprattutto se si tratta degli studenti delle quinte, che con l’esame di Stato lasceranno le loro aule per intraprendere un nuovo percorso di vita. Personalmente mi domando cos’è rimasto loro dello studio della letteratura, ad esempio, quale orizzonte di senso, quale successo formativo svilupperà nel futuro lo studio dei testi dei grandi scrittori.
In questi ultimi giorni di scuola, domandiamoci pure quale esperienza abbiamo vissuto in qualità di docenti e quale hanno vissuto i nostri allievi, che si sono confrontati con le pagine dei poeti e dei narratori della nostra letteratura. È proprio vero ciò che amava affermare Jorge Luis Borges: “Un libro vero inizia molto prima del libro”.
C’è qualcosa che precede – e io aggiungerei che segue – il testo di uno scrittore: è l’esperienza, l’incontro con le cose. I nostri allievi, dispersi sempre di più nella dimensione digitale, potrebbero provare la gioia dell’incontro con la realtà, dopo aver letto una pagina d’autore; potrebbero arricchirsi di suggerimenti, valori e ideali che servono a costruire la loro umanità.
Niccolò Machiavelli, nella Lettera a Francesco Vettori, del 10 dicembre 1513, attraverso una splendida metafora, racconta precisamente cosa rappresenta lo studio della letteratura, quale valore aggiunto offre la lettura dei grandi classici:
“Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro”.
Il più delle volte, invece, studiare i testi per i nostri allievi equivale ad accumulare nozioni su un autore, su una corrente artistico-letteraria, a preparare un’esposizione di concetti futili e astratti per una verifica, senza avvertire l’urgenza di un confronto con il loro modo di sentire, senza entrare veramente in dialogo con i loro giudizi, con le loro intuizioni su un’esperienza che potrebbe ripetersi oggi, lasciandosi sfuggire l’occasione di un arricchimento personale.
Studiare le pagine della letteratura, viceversa, significa fare un incontro, soprattutto con le parole, le immagini, le dimensioni dello spazio e del tempo, con le profondità intime che i testi dei più grandi autori della storia riescono a configurare e ad evocare.
Il vero problema, però, è che a monte probabilmente non c’è stata la preoccupazione del docente di introdurre i propri alunni in questo tipo di avventura, ma semplicemente e aridamente di svolgere un programma da portare a termine a giugno. Oltrepassare la soglia della parola scritta – esperienza che qualsiasi studente-lettore può compiere – significa entrare nel mondo inventato dallo scrittore, in cui mediante la fantasia egli riesce ad alludere a quelle verità nascoste che sfuggono all’osservatore distratto e superficiale.
La letteratura rappresenta il mondo del reale in quanto rappresenta il possibile, cioè un reale più ricco di possibilità. Le simulazioni, i simulacri creati dal linguaggio poetico servono a giudicare la società odierna, a riordinare il caos dell’esistenza. Come sostiene Paul Ricoeur, è proprio grazie alle opere di finzione che noi dobbiamo in gran parte “la dilatazione del nostro orizzonte di esistenza. Esse non producono semplicemente delle immagini attenuate della realtà […] al contrario le opere letterarie rappresentano la realtà accrescendola di tutti i significati”.
Quando ci troviamo in presenza di studenti distratti a lezione, annoiati da una spiegazione, alle prese con i loro smartphone, dovremmo ricordarci, prima di tutto noi insegnanti, del valore di una lezione di letteratura, come introduzione alla bellezza della realtà e non come mero adempimento di un programma da consegnare alla fine di un anno scolastico.
Quando ci troviamo a fare i conti con le ultime interrogazioni deludenti, con studenti sempre più “disorientati”, con un giudizio negativo sulla scuola e su quello che studiano, dovremmo ricordarci, prima di tutto noi docenti, che i testi della grande letteratura non fanno parte di un programma scolastico o di un volume di storia della letteratura da adottare per l’anno successivo, ma costituiscono una sfida alle risorse della nostra intelligenza, mettono in questione, aprono scenari di senso e permettono un percorso molto interessante verso le grandi domande esistenziali degli insegnanti e degli studenti.
È necessario, prima di tutto per noi adulti, lo studio della letteratura per avere una visione più chiara degli eventi accaduti e che accadranno, per avere un giudizio sul tempo della storia, filtrato dall’opera, per conoscere come l’uomo vive l’evento, come l’artista giudica quel momento della storia e il nostro in cui viviamo.
Il confronto permette di approfondire lo sguardo su tutto e soprattutto il riaffiorare di un giudizio sui fatti che accadono nell’attualità. Nei versi e nella prosa della grande letteratura pulsa il cuore, il punto di vista, la prospettiva dello scrittore e di ogni uomo. Di fronte ad un testo bisognerebbe porsi con una mentalità educata all’esercizio del vedere, dell’ascoltare, con una mente reattiva che sappia trovare nelle parole dell’autore ciò che apparentemente non c’è, ma che appartiene alla natura più profonda delle cose.
Chi legge bene, e non è preoccupato di nient’altro, scruta le parole dell’uomo nel profondo, le vede nella loro costruzione, ne percepisce le sfumature e le implicazioni, acquista il gusto del particolare e del dettaglio. L’ora di letteratura è il tempo della bellezza, in cui ci dedichiamo a vedere e a contemplare ciò che è vero, bello e giusto.
Lo aveva capito bene Vladimir Nabokov, uno dei grandi romanzieri del Novecento, che da professore una volta ebbe a dichiarare, nelle sue Lezioni di letteratura, che un buon lettore “è una combinazione tra il temperamento artistico e quello scientifico” e deve saper unire in sé la “passione di un artista” e “la pazienza di uno scienziato”. Mentre cioè si occupa di processi dell’immaginazione, il lettore rimette in ordine, facendo un’operazione che ha già qualcosa dello spirito scientifico.
Occorre portare i giovani a comprendere che le cose di cui la letteratura parla sono per loro, possono indurli a riflettere, a vedere e ad avere il senso di se stessi. Occorre tornare a dare fiducia alle parole dell’autore e non dei critici letterari, a quelle parole che non si consumano con il passare del tempo, lontane dal mondo delle immagini digitali e dagli stereotipi imposti, parole piene di realtà e del senso e del gusto delle cose.
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