Ho iniziato a scrivere questo articolo nel giorno in cui è scomparso un amico, “Quique”, monaco benedettino della Cascinazza. Mi era stato suggerito di scrivere qualcosa sull’inizio della scuola, sui rischi di perdersi nella burocrazia e di soffocare nelle cose da fare e da pianificare. Tutto, ora, è posto in una prospettiva più vera.
Che sproporzione si vive quando si è raggiunti dalla notizia della morte! Rimaniamo sgomenti, senza parole, magari con la tentazione cinica di pensare: “A che vale quel che ho davanti, tutto il mio affannarmi? Tutto è destinato a scomparire”. Spesso è difficile stare di fronte a un evento così grande, così che rischiamo di passare facilmente dallo sgomento alla dimenticanza. Tutte le volte che vengo a sapere della morte di una persona cara mi accade di essere risvegliato dal torpore in cui vivo, affannato nelle tante incombenze o preoccupazioni della vita, che, perlopiù inconsapevolmente, usiamo per censurare quel senso del limite che tanto ci spaventa e di cui la morte è il segno più estremo. Viviamo in un mondo che sembra pensato per eliminare i limiti (pensiamo al digitale) e farci dimenticare questa verità ineludibile: siamo finiti, siamo mortali. Nessuno di noi, prendendone consapevolezza, oserebbe dire il contrario, eppure generalmente preferiamo non pensarci e soprassedere, buttarci nelle cose da fare per evitare l’angoscia che la morte ci suscita.
Facilmente lo possiamo vedere all’inizio dell’anno sociale. Un inizio che dovrebbe essere carico di attesa per ciò che ci verrà incontro, ma che è facile venga dominato perlopiù dall’ansia organizzativa. Le famiglie devono incastrare gli impegni di tutti: scuola, sport, musica… e chi più ne ha più ne metta; anche le scuole si trovano a riorganizzare il rientro e tutte le attività: ingressi, uscite, mensa, attività pomeridiane, uscite didattiche, lezioni… che stress! Ma a ben pensarci: tutto lo stress che ci creiamo non deriva anche dalla frustrazione di non riuscire ad arrivare dappertutto, cioè di essere limitati? E non abbiamo neanche il tempo (o non vogliamo averlo) di fermarci e di interrogarci su queste cose, perché la macchina ormai deve andare. Ma verso dove?! E senza che troviamo una risposta a questa domanda, cosa diremo ai ragazzi che al primo giorno di scuola già dicono che sono preoccupati per le verifiche e l’esame di fine anno? Cosa faremo con quelli che ci sfidano coi loro atteggiamenti oppositivi, celando così la loro richiesta di aiuto? Altri limiti, che volenti o nolenti ci raggiungono e ci interpellano, con nostro grande scorno. Come rispondiamo? Come rispondo io?
Più volte negli ultimi anni, proprio nei momenti della ripresa delle attività, sono stato posto prepotentemente di fronte al limite estremo: “Quique” quest’anno, Luigi Amicone e Lele Tiscar, insieme al piccolo Agostino, l’anno scorso, don Roberto Malgesini due anni fa. Tutte persone a me vicine, in maniera diversa, che con la loro morte, ma soprattutto con la loro vita, vengono a ricordarmi una sola cosa: non in ciò che facciamo sta la consistenza della vita, ma nell’Amore che abbiamo ricevuto e riceviamo in ogni istante. Quell’unico Amore che nella storia ha vinto la morte, rendendosi compagno all’uomo, dentro al suo limite. Cedere a questo Amore è l’unica cosa per cui vale la pena affannarsi, dentro ogni inizio fatto di organizzazione, attività, riunioni, cioè dentro tutti i limiti che compongono la nostra vita. Abbiamo di meglio da proporre ai nostri ragazzi?
Poesia, si potrà pensare. I compagni già citati, insieme a tanti altri, continuano a testimoniare la verità di questa posizione e ci gridano: “Forse che fine della vita è vivere? Non vivere, ma morire e dare in letizia ciò che abbiamo”; “Che vale il mondo rispetto alla vita? E che vale la vita, se non per essere data?”, “Troppo perde il tempo, chi ben non T’ama”. Provare, per credere.
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