Il narcisismo ha distrutto il principio di realtà. Alla scuola servono maestri al servizio della verità, in grado di raccogliere la domanda del desiderio

In tempi di crisi come quello che stiamo vivendo, uno degli effetti più sottili e preoccupanti è la perdita della capacità di nominare le cose, di riconoscere i fatti per quello che sono. Ci muoviamo in un caos disordinato dove tutto vale tutto ed il suo contrario. In questo smarrimento, fatichiamo a sapere chi siamo, privi degli strumenti per intuire il nostro compito.



Mi ha colpito ascoltare una recente intervista al famoso alpinista Hervé Barmasse. Alla domanda “Chi è Hervé?”, ha risposto senza esitare: “Anzitutto un padre”. Una risposta solida e rara, che rivela un’identità chiara. Al contrario, sempre più spesso incontro padri incerti, madri impreparate, maestri disorientati di fronte ai nostri ragazzi, come se l’educazione fosse diventata un territorio senza mappe.



Massimo Recalcati compie un bell’esercizio nel riflettere sul ruolo del maestro e dell’educatore nel suo ultimo libro, La luce e l’onda. Cosa significa insegnare? (Einaudi, 2025). In un’epoca segnata dalla “dittatura dei bambini”, genitori, insegnanti ed educatori si ritrovano a dover sottostare ai capricci dei figli, che esigono l’appagamento immediato, in perfetta sintonia con le leggi del mercato materialista. Il bambino viene elevato a nuovo idolo, e per ottenere la sua benevolenza gli adulti si genuflettono, alimentando l’illusione che sia lui il centro di tutto.

Mai come ora assistiamo a questo rovesciamento: famiglie piegate ai desideri compulsivi dei figli, bambini che non desiderano ma pretendono, e genitori incapaci di trasmettere il senso del limite. Così facendo, li illudiamo di essere il centro dell’universo.



A scuola (Ansa)

Il maestro, invece, non lavora sull’immediatezza della pulsione, ma sulla traccia del desiderio: è colui che favorisce l’incontro dell’allievo con il proprio desiderio, è una figura di luce che illumina il cammino, come nella radura di Heidegger: uno spazio aperto e inatteso che si dischiude nel fitto del bosco, dove finalmente qualcosa può apparire.

La parola del maestro, dice Recalcati, non ha il potere di comandare, ma quello di illuminare. E nel farlo, rende visibili le cose, anche le ombre. Il maestro non è colui che sa tutto, ma colui che desidera sapere. Può essere incerto, e questa incertezza è preziosa: non espone il suo sapere come verità assoluta, ma come tensione verso la conoscenza. La verità, infatti, non si possiede; al contrario, si è posseduti da essa. Il maestro è appassionato di ciò che insegna. Gli studenti riconoscono immediatamente una parola che nasce da ciò che preme, da una necessità interiore, rispetto a una parola pronunciata per dovere professionale.

Un vero maestro non insegna mai controvoglia, non vive la sua professione come un supplizio. Quando è in aula, non vorrebbe essere altrove.

Iscritto nella scia di Lacan, Recalcati afferma che il compito del maestro è quello di sospingere l’allievo a fare del proprio desiderio la propria vocazione. È una visione limpida, ma forse manca un interrogativo essenziale: cos’è il desiderio? Perché lo portiamo dentro di noi? Come fa il maestro a farlo emergere?

Il desiderio è l’impronta splendente, nel soggetto, della sua condizione di mancanza. È il segno che non ci bastiamo, che non ci facciamo, che dobbiamo uscire da noi stessi per cercare soddisfazione in qualcosa che ci eccede. E il maestro è chi – accompagnando in questa avventura – dimostra nei fatti che vivere così è conveniente.

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