Pare che Elon Musk sia in urto con Donald Trump perché contrario al blocco indiscriminato delle immigrazioni; le aziende tecnologiche americane di punta avrebbero bisogno dell’alta qualificazione dei laureati indiani per lo sviluppo delle loro innovazioni. Non gli bastano dunque i vari MIT statunitensi? pare di no. Vivek Ramaswamy, immigrato di seconda generazione che gli è accanto, ha sostenuto che ciò è necessario perché “la cultura americana ha venerato la mediocrità rispetto all’eccellenza”.
Cosa c’entra questo con la battaglia sui voti che si è di nuovo scatenata nel nostro Paese? Fior di pedagogisti, soprattutto legati alla scuola primaria, da tempo combattono sui vari siti dedicati alla scuola contro la valutazione cosiddetta sommativa, che sarebbe portatrice di danni psicologici irreversibili, in difesa di quella definita formativa, che dovrebbe limitarsi ad accompagnare l’alunno con una descrizione delle caratteristiche delle sue prestazioni (sostanzialmente solo quelle positive). Attenzione: non una giusta complementarietà, ma una sostituzione.
I numerosi siti dedicati alla scuola non si occupano solo di informazioni normativo-sindacali che sono alla base della loro fortuna, ma vi affiancano anche riflessioni di vari esperti ed opinion leader su tematiche relative ai contenuti ed ai metodi della scuola stessa. In grazia alla loro vasta audience, di fatto esercitano un importante ruolo nella formazione della common opinion scolastica, spesso maggiore di quella degli appositi corsi di formazione, per l’ipotizzata autorevolezza dei dichiaranti, per l’ampiezza della audience e per la frequenza temporale degli interventi. Nell’ultimo anno si è creata di fatto una curiosa contrapposizione fra pedagogisti e psicologi/psicanalisti. Questi secondi – Recalcati, Crepet e Galimberti – esprimono di fatto posizioni molto simili, che sottolineano la necessità di un ruolo autorevole dei genitori, di una necessità e positività di eventuali frustrazioni e fallimenti ed altre opinioni contigue e con ciò coerenti. Al contrario, i pedagogisti che con i loro pareri imperversano – soprattutto Corsini e Novara – proclamano con sempre maggiore convinzione la necessità di quella che Giorgio Chiosso ha chiamato la “scuola compassionevole”.
Questa battaglia ha preso ed ha varie forme: nemico principale è l’uso della scala numerica, ma viene criticata anche quella composta di aggettivi, in particolare quelli che indicano prestazioni non sufficienti, che non si limitasse ad utilizzare buffi, se non ridicoli, eufemismi (“in via di prima acquisizione”), come avviene nell’ultima, partorita da non si ricorda più quale ministro, che l’attuale sta sostituendo. L’ultima versione di questa battaglia, visto che non è possibile adire vie amministrativo-legali, è il sabotaggio del registro elettronico dei voti e/o della sua possibilità-capacità di fare addirittura la media.
Ora, intendiamoci: il registro elettronico non è una bella cosa. Risponde più ai bisogni esagerati, se non nevrotici, da parte dei genitori di controllo ossessivo che a vere – in questo caso – esigenze pedagogiche. La prima esigenza pedagogica dovrebbe essere quella di fare crescere la maturità e responsabilità dei figli, la seconda quella di disporre delle opportune sanzioni, qualora ciò malauguratamente (si sa, l’uomo è un legno storto) non avvenisse. Ma sentirsi tallonati ad ogni pie’ sospinto deve essere una sensazione sgradevole e non particolarmente atta ad indurre maturazione responsabile.
E gli insegnanti? È indubbiamente vero che l’accumulazione dei famosi voti solo alla fine di trimestri, quadrimestri, pentamestri e chi più ne ha più ne metta, è ed è stata abitudine sgradevole. Lo dice chi da preside passava al freddo (scopo risparmio energetico) i giorni di chiusura prima e talora anche dopo il Natale a timbrare, a scopo di (inefficace peraltro) ammonimento indiretto, registri desolatamente vuoti e che si stipavano miracolosamente nel mese successivo. Ma poiché, ad avviso di chi scrive, est modus in rebus et in medio stat virtus, la sommativa valutazione numerica è tutt’altro che da demonizzare, semmai da integrare! E poi i risultati (sommativi per eccellenza) degli esami di maturità, che con la loro inattendibilità dimostrata a livello territoriale hanno di fatto tolto loro ogni credibilità, ci dicono che non c’è strumento esterno che sostituisca un’etica professionale interiorizzata. E che deriva dall’etica della società, prima che da quella della scuola, che alla fine non ne è che un epifenomeno.
Il fatto è che il rifiuto della valutazione, soprattutto se negativa, è uno dei segni del decadimento della nostra civiltà europea e più in generale occidentale. Lo sviluppo economico ha portato con sé, insieme a livelli di vita – sia in quantità che in qualità – mai visti prima nella storia umana, l’idea che tutto sia possibile e facile in questa parte del mondo che ha accumulato negli ultimi secoli le piramidi di ricchezza, anche culturale, su cui siamo oggi seduti. La negatività in qualsiasi forma e il sacrificio devono essere espunti e, dal punto di vista formativo, ogni frustrazione deve essere rimossa. L’attenzione è rivolta in modo quasi esclusivo ai livelli più problematici e le prestazioni di apprendimento migliori vengono ignorate, rimosse, se non colpevolizzate.
Poi ci si domanda come mai i Paesi asiatici siano in cima alle graduatorie delle survey internazionali e come mai gli ingegneri indiani (non i soli asiatici, ma perché ovviamente molto numerosi e liberi di circolare) siano in cima alla lista dei desideri delle aziende americane stesse. Olio di gomito (qui non accenneremo alle ragioni), direbbero i nostri vecchi.
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