Il prossimo convegno organizzato dalla struttura toscana dell’Associazione nazionale dei dirigenti pubblici e delle alte professionalità della scuola (ANP), che si svolgerà a Firenze il 21 e 22 marzo 2025, ha per titolo Didattica e neuroscienze: tra approcci consolidati e nuovi orizzonti. Il tema è rilevante, soprattutto per la proliferazione di scoperte germogliate nel terreno pluridisciplinare delle neuroscienze, un rigoglio di ricerche che inevitabilmente impatta sul mondo della scuola e incrocia, talvolta armonicamente e talaltra in contrasto, i saperi pedagogici e le pratiche didattiche.
Tutti noi conosciamo, ad esempio, alcune ricerche sui tempi di attenzione degli adolescenti, che si protraggono per non più di 15-20 minuti. Esse rilevano, inoltre, che tali tempi si riducono progressivamente ai giorni nostri (probabilmente per l’interferenza degli smartphone), anche se è possibile un’inversione di tendenza grazie alla capacità degli insegnanti di strutturare efficacemente le lezioni e di saper muovere, con l’interazione, le emozioni degli adolescenti. In tutti i casi i tempi di durata di una lezione soverchiano quelli dell’attenzione, secondo i ricercatori.
La questione, poi, si aggrava se si considerano i giorni di lezione annuali in Italia (superiori a quelli del miglior sistema scolastico europeo, cioè quello finlandese, dove peraltro la scuola inizia a 7 anni e non a 6 come da noi) e se si prendono in esame le quote orarie di lezione settimanali e il numero di discipline, tutti dati molto elevati in rapporto ad altri sistemi scolastici.
Potremmo ovviamente proporre altri esempi, ma è abbastanza chiaro che tra le visioni pedagogiche e le prassi didattiche, da un lato, e le neuroscienze, dall’altro, vi siano disarmonie e divergenze. (In certi casi queste ultime si registrano anche all’interno del primo gruppo e cioè tra pedagogia e didattica). Talvolta si hanno contrasti insormontabili, in ragione del fatto che il pensiero pedagogico è animato in senso assiologico, improntato cioè da un insieme di valori che possono indirizzarsi verso approdi diversi da quelli delle neuroscienze.
Da questo punto di vista, in considerazione del principio di autonomia disciplinare o semplicemente del rispetto reciproco tra approcci diversi, la constatazione e l’esplicitazione di tali divergenze rappresenteranno comunque un primo risultato dei lavori del convegno.
Le divergenze, tuttavia, promanano spesso da inadeguatezze didattiche, dal fatto che le neuroscienze si occupano raramente di questioni educative e dalla scarsa capacità di innovazione che caratterizza la scuola italiana.
Se ad esempio consideriamo questo ultimo aspetto, nonostante alcuni apprezzabili sforzi di Indire con il movimento di Avanguardie educative, constatiamo che le scuole innovatrici non sono molte. Non a caso le nuove prassi che vengono, non senza difficoltà, adottate portano nomi inglesi, a testimonianza del fatto che esse si sono affermate originariamente all’estero (cooperative learning, service learning, debate, ecc.). Le scoperte neuroscientifiche, invece, potrebbero ricevere un accompagnamento pedagogico e didattico più sollecito e coerente, soprattutto potrebbero esse stesse incalzare le scuole con il pungolo dell’innovazione.
Comunque, al dil à della diversità del metodo e del modo di procedere, anche gli umanisti, unitamente agli scienziati, possono essere galileiani, come ha scritto in saggio folgorante Massimo Bucciantini. Galileiani sono anche Primo Levi, Italo Calvino e molti altri scrittori. Lo sono in quanto amanti del pensiero rigoroso, delle parole sensate e connesse severamente alle cose; parole affilate di precisione, aliene ai funambolismi retorici e alle fumisterie.
Così come galileiano è Edgar Morin, che, in uno scritto luminoso, capace di aprire i cuori oltre che le menti, indica sette saperi come indispensabili all’educazione del futuro; saperi in cui confluiscono parti costituenti umanistiche e scientifiche, dacché nessun pensiero umanistico può distaccarsi dalla scienza, né quest’ultima proiettarsi sul solo versante tecnologico, dismettendo l’attrezzatura razionale, dialettica e critica delle humanities.
Galileiani come Ilya Prigogine, premio Nobel per la chimica, anche lui fautore del dialogo tra visioni diverse. Come Galileo stesso, ante litteram, fondatore della scienza moderna e formidabile comunicatore, capace di una ponderata e lungimirante politica culturale e linguistica.
Insomma, c’è una élite intellettuale illuminata, di scienziati e umanisti, che si rigenera verticalmente negli ultimi secoli di storia, e che promuove il dibattito interculturale, non per un vacuo buonismo, ma con lo scopo di arricchire intellettualmente l’umanità, superando il dualismo tra le due culture, come suggeriva anche Charles Percy Snow, che pur aveva descritto efficacemente quel dualismo in un suo celebre saggio.
Il convegno sarà aperto dalla professoressa Daniela Lucangeli, scienziata e divulgatrice di gran vaglia, pluripremiata e molto amata nelle scuole, particolarmente per il suo modo avvincente di porgere le idee. Prevede, inoltre, alcuni singoli interventi dei professori Margherita Malanchini, Derrick de Kerckhove, Giorgio Chiosso e Giuseppe Bertagna e si articola in otto sessioni.
In ciascuna di esse, moderata da un dirigente scolastico, si confronteranno con un breve dibattito un neuroscienziato e un esperto di didattica o di pedagogia. Le sessioni verteranno su temi specifici quali la dipendenza dai social, l’attenzione, la bellezza, l’intelligenza artificiale, la memoria, l’intelligenza numerica, l’inclusione, gli apprendimenti teorici e quelli pratici. Su ciascuno di questi temi verificheremo l’armonia o la disarmonia tra punti di vista diversi e cercheremo di farlo nell’ottica pratica della didattica, perché questo è l’obiettivo di noi presidi che, pur non essendo alieni al dibattito teorico, dobbiamo tuttavia risolvere le mille beghe quotidiane che caratterizzano la vita lavorativa.
La scuola italiana necessita di forti riforme (non si dimentichi che il Censis, nel suo ultimo rapporto, il 58esimo, l’ha definita come “fabbrica degli ignoranti”) e la strada del rinnovamento della didattica, tramite il confronto con le neuroscienze, è fondamentale. Pur tuttavia, siamo convinti che la capacità di rinnovarsi didatticamente implichi anche la revisione dei tradizionali modelli di governance, perché solo potenziando l’autonomia scolastica, rendendo cioè le scuole responsabili del proprio destino, esse potranno concorrere a migliorare il loro rendimento.
Per questo nel convegno del febbraio dello scorso anno, avevamo focalizzato l’importanza di rivedere il modello di governo interno alle scuole che risale ai decreti delegati del 1974 ed è del tutto inadeguato ai tempi correnti. Contestualmente occorrerebbe offrire ai docenti la prospettiva di una carriera (come in molti altri Paesi europei), atta a motivare la volontà di accrescere la propria professionalità. Speriamo che l’imminente convegno, seppur indirettamente, metta in moto quei processi di cambiamento.
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