Ho deciso di avviare un laboratorio di lettura ad alta voce in classe, innanzitutto perché ne avvertivo la necessità personale. Ero alla ricerca di una metodologia che mi consentisse di attribuire un valore autentico alla lettura, di andare oltre la sbirciata veloce alle pagine, spesso sopraffatti dalla frenesia e dalla superficialità con cui oggi ci approcciamo ai testi.
Ciò che più mi sorprende nei risultati ottenuti è che, paradossalmente, sono io la principale beneficiaria di tale esperienza. Spesso sono io stessa ad essere impaziente di arrivare al momento della lezione, quando tiriamo fuori il libro e cominciamo il nostro rito. Sì, credo che la parola “rito” sia la più appropriata: un insieme di atti puntuali che si ripetono ogni volta, apparentemente in contraddizione con l’età dei partecipanti, gli adolescenti, che, per antonomasia, rifiutano qualsiasi tipo di schema. Eppure, la mia prima scoperta è stata che tale convinzione è infondata! Gli adolescenti fioriscono dentro regole che ci siamo dati per il laboratorio di lettura, perché, come anche noi adulti, quando siamo guidati e le nostre azioni sono regolate (per me devono essere poche ma buone), tutto diventa più facile e comprensibile.
Infatti, la maggior parte delle restituzioni che ricevo dai ragazzi evidenziano proprio questo aspetto, e inaspettatamente Marco (nome di fantasia), un ragazzo con ADHD importante, mi ha detto che trova la lettura piacevole e rilassante, che immergersi in ciò che si legge stimola la creatività, e che leggere tutti insieme lo stesso testo aiuta a creare un ordine in ciò che si fa. Giorgio, con la sua consueta schiettezza, ha detto: “Alcune volte la lettura ad alta voce ha un potente effetto calmante, forse perché sono io che, in questo momento, sono particolarmente inquieto” (e poi, come da copione, scappa via!).
Di fronte a queste due testimonianze non posso che restare senza parole, perché investiamo tanto delle nostre risorse nella formazione per gestire il complesso mondo dei BES, DSA e simili, eppure è stata proprio la lettura ad alta voce della Commedia di Dante in edizione ridotta a permetterci di entrare in contatto con Giorgio, che era giunto da noi con un’importante premessa: ogni comunicazione sarebbe stata inutile, parlava esclusivamente tramite un pc. Eppure ora parla eccome! Anzi, ha anche iniziato a prendermi in giro durante le lezioni, e ogni volta che lo fa non riesco a sgridarlo come dovrei, perché, come una sorgente di acqua fresca, la sua battuta mi suscita un sorriso colmo di commozione.
In definitiva mi colpisce osservare come l’uso di un rito come la lettura ad alta voce permetta ai ragazzi di costruire un ambiente ordinato, vissuto davvero e ultimamente utile nella quotidianità; addirittura ci sono delle volte dove passo immediatamente al laboratorio quando percepisco che il clima sta diventando difficile, oppure che i ragazzi stanno perdendo la concentrazione: immediatamente gli animi si calmano e le menti si accendono. Ogni volta la lettura fa un piccolo miracolo.
Nel nostro centro di formazione professionale, i vocaboli “calma” e “serenità” spesso e volentieri vengono lasciati nello sgabuzzino, ma, tra i commenti che ricevo sul laboratorio di lettura emergono frequentemente frasi del tipo: “Mi tranquillizza la mente”, “Mi rilasso molto”, “Mi concentro con piacere”, “La trovo stimolante e rilassante”, fino al mio studente preferito che se ne salta fuori dicendo “Prof, lei è cento volte meglio dello Xanax!”. Incasso il complimento, ma non posso fare a meno di concordare con lui, poiché, effettivamente, il momento del laboratorio ha su di me un potere calmante che ogni volta mi sorprende: arrivo in classe sempre trafelata, di corsa, disordinata, con l’ansia che il tempo incombente mi scivoli tra le mani e il timore di non riuscire a portare a termine ciò che mi ero prefissata per la lezione, eppure attendo con trepidazione quel momento, quando è proprio il tempo inesorabile a fermarsi, dando spazio a un altro tipo di tempo, che ci permette di essere più autentici, di guardarci davvero negli occhi, di interrogarci sul nostro stato d’animo, di scoprire qualcosa di noi stessi.
Diventa un tempo che merita di essere chiamato tale, un tempo che va vissuto in religioso silenzio fino al suono della campanella, che la maggior parte delle volte viene insultata dai ragazzi proprio perché interrompe il nostro “rito”.
(1 – continua)
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