“Questa volta il riassunto lo scrive lei, vero?”
Alle classi chiedo di preparare, a turno, un riassunto di quel che si fa ad ogni lezione, da pubblicare su Classroom per incrociare i nostri appunti.
Appena il FlixBus è ripartito da Monaco verso Como, la mia più impertinente amica mi ha lanciato la frecciatina. Perché dalla primavera 1995 sono passati trent’anni di gite scolastiche, e ne stavamo concludendo una niente male. Così ho scritto un messaggio alla redazione. Guarda caso, sono anche quindici anni dalla prima volta che il Sussidiario mi ha ospitato.
Ne ho saltate ben poche, di gite, a parte il Covid. E per evitare i discorsi da vecchi, diciamo che sia solo uno stato di avanzamento.
In primis, ho deciso che i viaggi di più giorni non li organizzo più, game over. Non ho gettato lo zaino: se mi vorrete ancora come accompagnatore, direttore culturale o solo zio Sergio ci sto più che volentieri, ma ormai la burocrazia e le formalità dei preliminari sono diventate insostenibili, fan saltare i nervi e scappare ogni poesia.
Capisco che ci siano ragioni per passare attraverso un’agenzia (ringrazio quelle che mi han sopportato!), ma se ci interessano solo mezzo di trasporto e B&B, dato che a tutto il resto pensiamo noi, ha senso sovrapporre procedure, costi e ritardi che da quest’anno sono ulteriormente gravosi? Chi ha esperienze di una pubblica amministrazione, oltre che della scuola, sa che ogni nuova regola non fa che aumentare inefficienza ed inefficacia del servizio, a meno di non eliminare tutte le precedenti, e qui mi fermo se no poi divento troppo lungo.
E restando nel personale, credo sia giusto passare la mano quando hai ancora qualche anno di tempo per vedere come se la cavano gli altri. Finché il Padreterno mi tiene da conto, non ho nessuna voglia di andare in pensione, ma prima o poi capiterà…
Sì, è andata molto bene, nel complesso. Il più delle volte all’estero, con piccoli o piccolissimi gruppi come teorizzavo tanto tempo fa. E solo se siamo reciprocamente convinti di quel che vogliamo, se no meglio stare a casa. In effetti l’unica gita di cui non ho un buon ricordo era a Roma, con un gruppone e un programma che avevo trovato già fatto, ma anche quella mi ha lasciato volti e momenti.
Pian piano avevo focalizzato il mio set di regole, molte meno di quelle di Jethro Gibbs ma altrettanto ineludibili. Regola 1: prima, durante e dopo il nostro passaggio nessuno deve accorgersi di noi. Regola 2: assoluto e totale rispetto di agenda e orari. Per il resto, basta il buon senso e spesso si può decidere sul momento. Ci sarebbe anche la regola 0: dobbiamo tornare nello stesso numero, né uno di meno né uno di più, ma questa magari non la diciamo.
Non voglio però dire che sian state solo rose e fiori. Conoscersi meglio non significa sempre andare d’accordo. Il fatto di interagire per un tempo continuativo anziché per i pochi frammenti di monte ore settimanale può anche far capire i lati meno positivi, far emergere i conflitti. Tuttavia, per chi, come me, non sempre riesce a individuare una linea di comunicazione con una persona in un contesto formalizzato e asimmetrico come quello dell’aula, l’aver vissuto questi momenti fa sì che con queste classi ci sia una comprensione che con le altre non c’è. E non è poco.
Perché funzioni bene deve essere un’esperienza autentica, nostra, che per noi sarà memorabile anche se di per sé fosse una piccola cosa. Gli itinerari sono costruiti insieme, programmati e assaporati prima. Poi, restare lontani da quel che si vede e si fa di solito, discoteca inclusa (i prof che portano i minorenni in discoteca mi parevano patetici già quando ero giovane io).
Ci sono altri luoghi meno comuni e più felici. Non dimentico quel bar di Nimes, quando si poteva ancora fumare la pipa tirando tardi al biliardo, o il greto della Moldava dove avevamo quasi visto l’alba, o quella stube di Heidelberg… E la volta di Assisi prima del terremoto.
E ricordo i musei e le cattedrali, i centri scientifici e i memoriali civili dove maturare la nostra identità europea. E tanti visi di chi era con me, magari di chi prima c’era stato come studente e poi come accompagnatore. Perché è importante, anche se sembra ovvio, trovare uno o più colleghi con cui ci sia una sintonia culturale ed umana, ed è vero che molti non se la sentono di affrontare questa corvée.
Non riesco invece a sentire le visite organizzate, almeno in certi contesti, per quanto sia professionale chi ci accompagna. Persino adesso, tornando al KZ di Dachau, dove avevo sempre cercato di fare io da guida: non per raccontare “tutto” l’indicibile, ma per avanzare, sostare, dosare le parole ed i silenzi in base a quel che ci dicono i nostri sguardi.
Stavolta mi hanno convinto a usare le audioguide, e tutti – io compreso – abbiamo ricevuto molte più informazioni dalle voci registrate, però non mi è sembrata la stessa cosa. Parlo per me, naturalmente: come sia stata l’esperienza degli studenti, non gliel’ho chiesto, e non glielo chiederò se non sono loro a dirmelo.
I loro occhi, li conosco. Con questa classe eravamo stati in terza a Ferrara, in quarta al Parlamento di Strasburgo, e lì mi viene in mente che regole e limitazioni possono anche avere un senso ma non dovrebbero essere tassative: perché deve valere sempre che nei primi anni si stia fuori meno notti e magari si debba stare in Italia? E perché concentrarsi alla fine dell’anno? Se la classe capisce il senso di un percorso originale, mi sembra invece che più si parte da giovani, più si arricchiscono le esperienze internazionali, più si possono avere benefici per il futuro, fosse pure per aver meno timore ad affrontare un Erasmus. E, come dicevamo sopra, prima ci si conosce meglio è.
Comunque loro han sempre 16, 17, 18 anni, ce li hanno per la prima ed ultima volta, quindi lasciamo perdere le menate di come son cambiate le classi o come è cambiato il mondo: la vita è sempre quella e continuerà senza di te, vivila senza lamentarti dei reumatismi che avanzano, se no fai spazio ad altri.
Chissà cosa direbbe un laudator temporis acti, se pensasse che nella mia scuola – il Setificio di Como – la fine del quinto anno già a fine Ottocento prevedeva un lungo viaggio verso centri produttivi europei, e oggi qualcuno col GPS si perde sulla metro.
Quella preside dal fare arcigno che quasi per dispetto aveva caricato su un bus un pivello fresco di nomina non sapeva che regalo mi faceva, e spero di essere stato all’altezza. Rimpiango solo i viaggi che non son riuscito a fare, che le classi avevano condiviso ma “certi genitori” avevano stoppato: in particolare i programmi itineranti con lo zaino, dormendo ogni notte in una città diversa – in Scozia, o sulle tracce della Grande Guerra. O cercando le vie dell’acqua nel deserto della Tunisia, da Cartagine a Tozeur ai moderni dissalatori, ma lì in effetti non ci sono più né i corsi di chimica ambientale né il mondo che conoscevamo allora.
E se il click delle mie vecchie Canon a pellicola è sempre lo stesso, guardando gli ennesimi rullini posso pensare al Gulliver di Guccini – da tempo e mare non si impara niente – ma anche ad Odysseus, con la gioia infinita di entrare in porti sconosciuti prima.
Da qui in poi, vedremo. Cosa intendete dire, voi di quarta che mi avete già chiesto se vi accompagno il prossimo anno?
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