Chiedo scusa a quei colleghi che a volte raccontano raggianti i frutti dei loro nobili tentativi. Nel grigiore del lamento, menomale che qualcuno è ancora capace di tirar fuori la testa dalla sabbia. Eppure disegnare il cielo con il sole sorridente è un’abitudine infantile: crescendo, sui fogli si addensano nuvole, temporali improvvisi, cromatismi crepuscolari; ci si rende conto che l’abbaglio di mezzogiorno sfoca la scena circostante. Chi come me ha il sangue settembrino dappertutto scorge chiaroscuri: gli orizzonti che si spalancano e l’abitudine che li richiude, le scintille che si accendono e il mondo pronto con gli idranti, quasi mai una mano a proteggerle.
Qualche settimana fa ero a Firenze con i miei alunni: il primo pomeriggio agli Uffizi, il secondo a San Miniato, com’è che il terzo ci si accartoccia in una stanzetta d’albergo? com’è che la sera le stesse bocche che per l’intera giornata hanno pontificato sull’omologazione si riempiono delle canzonette più streammate?
Se sboccia un fiore in mezzo alle piante secche, zoomare sull’eccezione non significa partire dal positivo ma mentire. Non coglie l’attimo chi è ignaro della sua fragilità, chi scambia un petalo per roccia. Quando Orazio decantava lo splendore della rosa, non dimenticava di avvolgerla dello straziante avverbio nimium: i fiori sono “troppo brevi”. Se è vero, come ha spesso ripetuto papa Francesco, che il nostro compito è avviare processi, è anche vero che troppo spesso quei processi si strozzano. La crudeltà del dio Apollo nei confronti dell’amato Giacinto fu appunto questa, secondo Pavese: non “raccolse l’entusiasmo che leggeva in quegli occhi – gli bastò suscitarlo”.
Come raccogliere l’entusiasmo? Come proteggere le scintille? Accontentarsi di seminare, senza preoccuparsi di siccità, veleni e malannate, non sottintende fiducia ma inconsapevolezza della storia.
All’indomani dell’insediamento di Trump, dell’esodo sulla Striscia di Gaza e di una conferenza con il papà di Giulia Cecchettin, un migliaio e mezzo di liceali non ha trovato un ordine del giorno migliore per l’assemblea d’istituto che: “dj set”. Per quell’ottantina che si è fermata: gli altri tutti a zonzo. Questa è gente che studia Aristotele, Dante, Orwell?
A parte tali problematiche macroscopiche, mica si possono prendere sul serio quelle microscopiche per cui a centinaia fanno ripetizioni o passano dallo psicologo, qualcuno non mangia, qualcun altro s’è perso: meglio ciarlare di merchandising e serate.
E le assemblee di classe sono o non sono la fiera del nulla? Magari il giorno prima, leggendo i capitoli sull’innominato, la scintilla s’era accesa: cosa l’ha spenta d’un tratto? E domani dovremmo tornare a leggere parole di vita o di morte, quasi fossimo innamorati che un giorno si abbracciano, il giorno dopo si ignorano, poi chissà perché si riabbracciano ignorando di essersi ignorati.
Come risalire la montagna del Purgatorio dopo una settimana in cui le quarte sono andate a sciare, in mano la sera agli animatori dell’hotel? o come rituffarsi nel “gran mar de l’essere” del Paradiso dopo la crociera delle quinte, in “viaggio d’istruzione” valido come “orientamento formativo”?
Per i 100 giorni prima degli esami, una frotta di maturandi ha speso una barca di soldi per affittare una villa e procacciarsi alcolici: la mattina dopo sono arrivati direttamente in classe che tremavano di sonno. Così, senza motivo.
Non c’è ora di supplenza in cui non ci si sbatta contro gli effetti dell’inveterata abitudine di intascare lo stipendio con il tacito accordo che io mi faccio i fatti miei e voi vi fate i fatti vostri. Da qui un’orda di quattordicenni strafottenti che per tutta l’ora ti danno le spalle persistendo a giocare col telefono o a scopiazzare: oltre al contratto servo-padrone non è concepibile l’incontro fra persone libere.
Mettere piede nelle proprie classi è ordinariamente segnato dallo sconcerto di trovare anche quattordici banchi vuoti, giacché i nostri studenti freelance hanno un’interrogazione programmata domani alla terza ora, quindi oggi non si presentano perché stanno ingurgitandosi cento pagine di arretrati, domani entrano alle 10 giusto per vomitare la pappetta, incassano il loro voticino e se ne tornano a casa alle 11 come universitari pendolari.
Capita poi che un teatro sia stracolmo per il nuovo messia disceso dai social a disvelare il verbo della letteratura, nella persuasione che una simile operazione di marketing avvicinerà i ragazzi alla cultura: un mese dopo o dieci anni dopo, tutto quest’avvicinamento, precisamente, dov’è?
Sono solo alcuni fotogrammi delle macerie sopra cui si passeggia quotidianamente a scuola, in altre faccende affaccendati: la media aritmetica, le verifiche, i progetti, le spiegazioni, in un ingranaggio che macina qualsiasi domanda di senso e sul sistema.
Ora, complimenti per i bei voti e le belle esperienze: però quello che vi rende euforici è il vostro abbaglio da pargoletti che disegnano il sole con la boccuccia all’insù. Spiegatemi com’è che, fra la mia folgorante lezione e il tuo autoincensante post, ci siamo fatti infinocchiare da orientamento, PCTO, settimana corta, ignoranza, conformismo, demotivazione, retorica, nichilismo gaio, disturbi, dipendenze, bullismo, ansie, assenze, dispersione, squilibri, sfruttamento.
Eccitatevi pure per traguardi e risultati, per la frasetta del ragazzo intelligente o le presunte innovazioni di cui traboccano stucchevoli convegni o redditizi video di insegnanti buontemponi, ma intorno al vostro ottimismo non c’è mai l’orlo boccaccesco del dolore. Non avete coscienza dell’assedio. L’orgoglio del successo divora lo struggimento per il destino. Non vi si stringe mai il cuore perché qualcuno, alla vostra meravigliosa alunna, può rubare la luce dagli occhi? Io più vedo menti che si infiammano, più tremo per le ombre che si addensano. Né saprei come possa importare qualcosa della resurrezione a chi non sente addosso la croce.
Al momento, siamo come alla fine della partita di Aldo Giovanni e Giacomo in Tre uomini e una gamba, quella dell’esilarante colpo di testa di Aldo sbucato da sotto la sabbia. Meniamocela pure su gesti atletici, rovesciate e parate strepitose: “Meraviglioso! Bello, bello. Ma intanto come abbiamo fatto a perdere 10 a 3?”.
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