Mentre il conflitto a Gaza sembra procedere verso una sorta di labile pace – tanto che nonostante il cessate il fuoco raggiunto con grandi difficoltà da Biden lo scorso 15 gennaio, i bombardamenti e le incursioni non si sono mai veramente interrotti -, le scuole cristiane in Palestina (ovvero il territorio che include la Cisgiordania e la Striscia di Gaza) si trovano a far fronte a difficoltà sempre più marcate che ci parlano delle difficoltà quotidiane per chiudere poche ore di lezione, sempre meno studenti e un generale sconforto per una situazione sempre più complessa.
L’allarme per le scuole cristiane in Palestina arriva proprio in questi giorni da un convegno che si è tenuto al Cairo raccogliendo alcune voci che arrivano direttamente dai territori presidiati da Israele.
Partendo dal principio, prima dello scoppio della guerra le scuole cristiane in Palestina erano complessivamente 65 delle quali quattro all’interno della Striscia di Gaza, diventando un vero e proprio esempio di dialogo ed integrazione accogliendo studenti di ogni tipo di credo religioso: secondo delle stime fatte dall’Unicef, complessivamente il servizio scolastico (non solo cristiano) palestinese raccoglieva circa 780mila studenti, ma dal 7 ottobre del 2023 circa il 20% degli istituti sono stati chiusi o distrutti dal conflitto.
La condizione delle scuole cristiane in Palestina: tra sconforto e difficoltà, gli studenti hanno perso la motivazione
Ad oggi – si è detto al convegno al Cairo – le scuole cristiane in Palestina contano solamente 22mila iscritti dei quali 8mila effettivamente cristiani, mentre è certo che la più importante scuola di Gaza – ovvero l’istituto gestito dalla Sacra Famiglia – è stato in larga parte distrutto nelle primissime fasi del conflitto (peraltro causando la morte di docenti, professori e studenti che credevano di aver trovato un rifugio sicuro contro le bombe) e non è certo il destino – certamente poco sereno – degli altri tre istituti.
Nonostante il cessate il fuoco e quello che si potrebbe definire un parziale ritorno alla normalità, la realtà per le scuole cristiane in Palestina (e per il resto delle attività in terra palestinese) è ben diversa: al convegno egiziano sono state parecchie le voci a raccontare come quasi quotidianamente l’esercito di Tel Aviv chiuda intere strade alla circolazione impedendo a studenti e professori di raggiungere gli istituti, così come non mancano le ovvie ricadute dovute ad incoruzioni e bombardamenti e alla condizione economica sempre peggiore delle famiglie palestinesi.
Ma – e forse è ancora peggio – quando (raramente) si riesce a fare lezione, nelle scuole cristiane in Palestina i sentimenti a fare da padroni sono lo sconforto, la disperazione e la vera e propria depressione, con gli studenti distratti al pensiero se troveranno o meno la loro abitazione intatta e i familiari in vita una volta finito l’orario di lezione; oppure governati dall’incertezza sul loro destino e sull’utilità di imparare quando il futuro sembra essere più una speranza e che una realtà concreta.