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Home » Cronaca » SENTENZA CONSULTA/ Figli di coppie lesbiche, quel riconoscimento che “ignora” il padre e il bene del minore

  • Cronaca
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SENTENZA CONSULTA/ Figli di coppie lesbiche, quel riconoscimento che “ignora” il padre e il bene del minore

Paola Binetti
Pubblicato 23 Maggio 2025 - Aggiornato alle ore 06:19
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con Giovanni Amoroso, presidente della Corte costituzionale
(foto di Francesco Ammendola - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con Giovanni Amoroso, presidente della Corte costituzionale (foto di Francesco Ammendola - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Storica sentenza della Corte costituzionale: in una coppia lesbica entrambe le donne possono riconoscere il figlio come madri alla nascita

La Corte costituzionale ieri ha depositato la decisione comunicata lo scorso 10 marzo (sentenza 68/2025) di illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), “nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale”.


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Il filo logico secondo cui è elaborata la sentenza della Corte appare coerente, per questo vale la pena ripercorrerlo punto per punto. Potrebbe nascondere un vulnus di cui il tempo ci chiederà conto!

La sentenza

La sentenza della Corte cita una precedente sentenza, la n. 272 del 2017, in cui facendo riferimento a norme in vigore ancor prima dell’approvazione della legge 40, si sottolineava come proprio per garantire la massima tutela possibile al bambino concepito attraverso fecondazione eterologa, occorreva “tutelare anche i diritti di chi si era liberamente impegnato ad accoglierlo, assumendone le relative responsabilità: diritti che è compito del legislatore specificare” (sentenza n. 347 del 1998).


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In altri termini, la Corte, sin dal 1998, aveva evidenziato come facesse parte integrante dell’interesse del minore, e quindi dei suoi diritti specifici, tener conto dei diritti del minore nei confronti di chi si era liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità. Il tutto proprio alla luce della duplice considerazione di “una logica fondata sulle responsabilità che discendono dalla filiazione e sull’esigenza di perseguire il miglior interesse del minore” (così la sentenza n. 79 del 2022). In altri termini, tutta la sentenza ruota intorno a questo quesito cruciale: qual è il vero interesse del minore.


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L’unicità dello stato di figlio

Nel punto 8.3 della attuale sentenza c’è un esplicito riferimento all’unicità dello stato di figlio, quale principio ispiratore della intera riforma della filiazione: tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico (cfr nuovo art. 315 cod. civ.). In forza di tale principio tutte le forme di filiazione riconosciute dal nostro ordinamento (all’interno del matrimonio, fuori del matrimonio, adottiva nelle sue varie forme) godono della medesima considerazione, con riferimento sia alle situazioni giuridiche soggettive imputate al figlio (art. 315-bis cod. civ.), sia alla sua posizione nella rete formale dei rapporti familiari (art. 74 cod. civ.). Secondo l’attuale sentenza il carattere omosessuale della coppia che ha avviato il percorso genitoriale in questione non può costituire impedimento allo stato di figlio riconosciuto per il nato.

L’orientamento sessuale, secondo l’attuale sentenza, “non evoca scenari di contrasto con princìpi e valori costituzionali” (sentenza n. 32 del 2021), né “incide di per sé sull’idoneità all’assunzione di responsabilità genitoriale” (sentenza n. 33 del 2021).

La sentenza sottolinea come non ci sia alcuna dimostrazione scientifica che metta in dubbio la capacità di una coppia omosessuale a prendersi cura di un figlio. Il problema chiave a questo punto riguarda l’interesse del figlio e il capire se davvero i suoi diritti sono tutelati nel maggiore e migliore modo possibile. E la sentenza sposta il suo punto di osservazione su chi dovrebbe garantire alla coppia omosessuale un adeguato livello di protezione. Cfr il punto n. 9: “La centralità dell’interesse del minore, raccordata con la responsabilità dei genitori che hanno legittimamente avviato di comune accordo il percorso di PMA, richiede di individuare in concreto quale sia il livello di protezione di tale interesse e quali siano le condizioni perché al nato possa essere riconosciuto lo stato di figlio anche della madre intenzionale”.

L’interesse del minore

“L’interesse del minore consiste nel vedersi riconoscere lo stato di figlio di entrambe le figure – la madre biologica e la madre intenzionale – che abbiano assunto e condiviso l’impegno genitoriale attraverso il ricorso a tecniche di procreazione assistita. Il riconoscimento, per sua natura, opera da subito e indipendentemente dalle vicende della coppia e da eventuali mutamenti, al momento della nascita, della stessa volontà delle due donne che hanno fatto ricorso alla PMA e in particolare della madre intenzionale.”

Quindi l’attuale divieto è incostituzionale, proprio perché non garantisce il miglior interesse del figlio fin dal primo momento. Per di più costituisce una violazione: dell’articolo 2 della Costituzione, per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile; dell’articolo 3 della Costituzione, per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un contro interesse di rango costituzionale; dell’articolo 30 della Costituzione, perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli.

In conclusione, vale la pena evidenziare almeno tre cose in merito alla questione di legittimità costituzionale.

a) Il quadro normativo e giurisprudenziale esistente, secondo l’attuale sentenza, determina una lesione di diritti costituzionalmente garantiti, in particolare viola il principio che attiene all'”uguaglianza formale”, che impone che il nato a seguito del percorso di PMA intrapreso da una coppia di due donne non sia discriminato dalla legge, e viola la cosiddetta “uguaglianza sostanziale”, perché impedisce la piena tutela del figlio. Ma è proprio il concetto di uguaglianza che in questo caso occorre rivalutare attentamente.

b) L’unicità dello stato di figlio si riferisce allo status del figlio nato nel matrimonio, fuori dal matrimonio o sia stato adottato, ma in tutti questi casi i bambini hanno una madre e un padre. In questo caso invece i figli hanno due madri e l’elemento differenziale non è di poco conto: viene totalmente meno la figura paterna il cui ruolo è ampiamente documentato da una letteratura scientifica secolare. La cancellazione della figura paterna crea un vulnus le cui conseguenze non tarderanno a farsi sentire a livello personale e sociale.

c) Al di là di ogni pregiudizio o di ogni teoria non suffragata dai fatti, potrebbe essere realmente interessante, importante, valutare con la prospettiva del tempo le difficoltà incontrate dai bambini nati ed educati nell’ambito di una coppia omosessuale rispetto a quelle in cui si imbattono abitualmente i bambini che hanno una madre e un padre. Che valore e che significato ha la presenza del padre nella vita di famiglia e nell’educazione dei figli? Davvero è possibile cancellarlo con un colpo di spugna?

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