In un ricco casale, di un tempo e un luogo indefinito, vive Manuel Roca, insieme ai suoi due figli. La guerra, di un tempo e un luogo indefinito, è finita, ma Manuel Roca ha ancora qualche colpa da espiare.
A cercare vendetta ci pensano tre uomini che irrompono a casa di Manuel e lo uccidono insieme al figlio maggiore, intervenuto a difenderlo. Sopravvive ai banditi solo la piccola Nina, nascosta dal padre in una botola, e rimasta in silenzio negli attimi drammatici della morte della sua famiglia.
Quando Tito, il più giovane dei tre vendicatori, poco più che adolescente, si accorge della bimba, decide di risparmiala, lasciandole in dono un futuro di dolore, tristezza e solitudine. Una vita dopo, Nina rintraccia Tito per provare finalmente a ritrovarsi.
Tratta dall’omonimo romanzo di Alessandro Baricco, Senza sangue, ultima fatica registica di Angelina Jolie, racconta una storia sospesa tra passato e presente, tra violenza e redenzione, tra l’infanzia spezzata e l’età adulta come luogo del confronto.
Al centro c’è Nina (Salma Hayek), unica superstite di una rappresaglia brutale consumata in una guerra insensata, come tutte le guerre. Un conflitto che sembra più simbolico che reale, dove la crudeltà si manifesta in maniera esplicita ma essenziale, quasi geometrica.
Anni dopo, Nina è una donna matura, che porta ancora su di sé le ferite non visibili di quel trauma. E quando finalmente rintraccia uno degli uomini responsabili di quel massacro, non lo fa per ucciderlo. Vuole solamente parlare. Vuole capire perché è successo. Vuole liberarsi dal suo fardello. Vuole in qualche modo riscattarsi.
Jolie sceglie di seguire con fedeltà la struttura narrativa di Baricco: pochi personaggi, dialoghi rarefatti, uno spazio-tempo sospeso, quasi astratto. La violenza iniziale, rappresentata con crudezza ma senza compiacimento, si chiude presto per lasciare il posto a un lungo confronto fatto di parole, silenzi e sguardi.
Il cuore del film è lì, in quel dialogo che si vorrebbe catartico, dove la vittima e il carnefice si siedono uno di fronte all’altro e cercano di trovare un senso all’orrore. Che entrambi hanno vissuto, dal lato opposto del dolore.
La Jolie, diva dal passato patinato e oggi regista impegnata, dirige con mano sobria, evitando melodrammi, ma, a ben vedere, senza nemmeno riuscire davvero mai a emozionare. Il suo film la rappresenta, con quell’eleganza distante che non trasuda dolore, né empatia.
Anche i suoi personaggi sembrano intrappolati in una dimensione troppo letteraria, dove ogni parola pesa come piombo e ogni gesto si carica di un simbolismo a tratti eccessivo. Ci raccontano il dolore, senza farcelo vivere. Nonostante i suoi limiti il film, ripulito dalla freddezza verbosa dei dialoghi, riesce a parlare a molti cuori feriti, travolti da quell’istinto di tornare proprio dove si sono spezzati.
La storia di Nina e Tito è quella dell’essere umano, che si confronta con i propri traumi, incerto se difendersi o attaccare, se vendicarsi o perdonare, se cercare la pace o fare la guerra. È la storia di ognuno di noi, come quella del mondo nel quale viviamo.
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