VUCIC A RISCHIO DOPO LA MAXI PROTESTA A BELGRADO: COSA STA SUCCEDENDO IN SERBIA
Quando lo scorso 1 novembre 2024 crollò una pensilina da poco installata nella stazione dei treni di Novi Sad, seconda città più grande e importante della Serbia, forse in pochi potevano immaginare quello che ne sarebbe conseguito nei mesi successivi: prima le dimissioni del Premier Vucecic, ora il possibile ritorno alle urne non smentito dal Presidente Vucic, anch’esso travolto dalle proteste nel mega-calderone di una piazza da mesi in fiamme a Belgrado e non solo. E così dopo il weekend in cui almeno 300mila persone sono nuovamente scese in piazza nella Capitale per chiedere le piene dimissioni di tutto il Governo, la Serbia si risveglia nel caos più completo.
14 morti, decine di ferite, un senso di impotenza e fragilità che il Governo ha probabilmente sottovalutato e che ora porta la Serbia non lontana da vere e proprie lotte civili e sociali: una stazione ristrutturata con i fondi della “Via della Seta” cinese, con ditte di Pechino e subappalti a società locali. La piazza di Belgrado contesta una forte responsabilità della politica per le svariate accuse di corruzione poi emerse su alcuni membri del Governo Vucevic: «quella di Novi Sad non è tragedia ma un crimine», campeggia nei cartelli fuori dal Palazzo del Primo Ministro poi dimissionario lo scorso 28 gennaio 2025.
Il Governo ancora attende un nuovo leader, i tempi si allungano e così anche il Presidente della Repubblica serba Vucic viene coinvolto nella mai protesta di piazza: «entro 3, 4 o 5 mesi sono pronto ad una prova di legittimità», ha detto sabato sera il leader del Centrodestra serbo, alla guida del SNS (Partito Progressista Serbo) ormai da anni. Elezioni anticipate o direttamente un “referendum” sulla sua persona, il quadro ancora non è chiaro: Vucic spiega infatti in diretta tv nazionale che andrà incontro alle richieste delle opposizioni affrontando ad una vera «verifica di legittimità».
IL CAOS IN BOSNIA, IL PROBLEMA KOSOVO E LO SCONTRO UE-RUSSIA
Con l’Unione Europea che guarda attentamente cosa succede in Serbia e in generale in tutti i Balcani, nuovamente in subbuglio dopo anni di instabilità “latente”: il caos politico in Serbia segue di qualche giorno quanto avvenuto in Bosnia-Erzegovina, con la richiesta di arresto lanciata dalla maggioranza bosniaca contro i leader politici dell’enclave serba Srpska, accusati di «attentato alla Costituzione». In tutto questo non va dimenticato lo scenario tutt’altro che fermo in Kosovo, dove le recente Elezioni hanno visto vincere Kurti ma senza avere una maggioranza stabile e con uno scontro a distanza con Belgrado che permane (con i rispettivi “sponsor” alle spalle, ovvero UE e Russia).
La Serbia subisce come i vicini Paesi balcanici il problema che a Bruxelles attanaglia ormai da mesi, ovvero il distacco sempre più forte dei sentimenti pro-UE verso un bipolarismo più accentuato con Mosca: chi segue la linea dell’Occidente (diviso al suo interno, come dimostra la crisi in Ucraina) e chi invece vorrebbe maggiori contatti con la Russia di Putin, una spaccatura che ad esempio in Serbia non lascia tranquillo neanche Vucic che pure da anni gioca un duplice ruolo di equidistanza tra Unione Europea e Cremlino.
La protesta della piazza contro l’accusa di corruzione piovuta sul Governo è però un passo ulteriore verso una vasta richiesta di rinnovamento ai vertici di Belgrado: il movimento nato dopo Novi Sad circonda oggi il Parlamento, invade le piazze principali della Serbia e promette di non mollare lo scontro fino a che anche Vucic non si sarà dimesso. Come dimostra in queste settimane il maxi caos in Romania sul caso Georgescu, il Governo serbo accusa di ingerenze di Bruxelles nel movimentare e aizzare le migliaia di cittadini serbi in piazza: studenti, agricoltori coi trattori, lavoratori e sindacati non ci stanno e chiedono il pieno rinnovamento della politica serba.