SESSO IN CARCERE, IL CASO DI SPOLETO FINISCE DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE
Sarà la Corte Costituzionale che dovrà dirimere il tema del sesso in carcere dopo l’esposto e ricordo di un detenuto di Maiano di Spoleto: questione che crea polemiche e discussioni da anni in seno alla magistratura, ora si fa “scottante” in quanto arriverà nei prossimi mesi sui banchi della Consulta per una sentenza che potrebbe avere effetti “detonanti” in merito alle condizioni delle carceri italiane. I rapporti sessuali in carcere sono per ora sotto stretto divieto in Italia ma già diversi Paesi nel mondo hanno alzato la “cortina di ferro” sul tema che divide l’opinione pubblica, superando le restrizioni sul tema.
Secondo il detenuto del carcere vicino a Spoleto, il divieto di rapporti sessuali in galera «è contrario al principio di rieducazione e a quello della famiglia»: il “tabù” del sesso insomma cresce ora che la decisione spetterà, a livello nazionale, ad una sentenza della Corte Costituzionale che potrebbe “impegnare” la politica a cambiare i regolamenti della detenzione cautelare. Si chiama Fabio Gianfilippi il detenuto che “sfida” lo Stato su un tema fino a qualche anno fa considerato ancor peggio di un tabù: in attesa di vedere quale futuro potrebbero avere le “casette dell’amore” proposte dal Governo Draghi lo scorso maggio in un progetto finanziato per 28,3 milioni di euro, i riflettori sono tutti puntati sulla magistratura per capire se vi siano margini effettivi per accogliere il ricorso del detenuto Gianfilippi.
LO SCONTRO TRA I MAGISTRATI SULLA POSSIBILITÀ DI RAPPORTI SESSUALI IN CARCERE
Lo scontro tra magistrati è scattato: «la limitazione della libertà personale non debba limitare il diritto alla sessualità», dicono alcuni, mentre altri «non si può perché l’istituto penitenziario non può diventare un postribolo di Stato e le reali emergenze da risolvere sono altre». I punti di vista si scontrano e il tema del sesso in carcere torna di nuovo di “stretta attualità”: secondo il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia, «Il guaio è che si tratta di un problema aperto, perché già nel 2012 la Consulta, pur ammettendo il diritto alla sessualità dei detenuti italiani, ha rimandato la questione al legislatore. Al momento l’unica concessione sono i permessi-premio, grazie ai quali il detenuto può vivere la propria affettività fuori dal carcere. Non credo che la Corte Costituzionale possa dire la parola fine, la palla passa alla politica».
Al momento il “diritto all’affettività” in carcere è garantito in diversi Stati Europei, come Germania, Francia, Spagna, Olanda, Belgio, Norvegia, Danimarca, Croazia e Albania: nel nostro Paese invece, spiega ancora Santalucia a “La Stampa”, «si sconta un pregiudizio culturale per cui l’affettività sessuale non rientra nei diritti, nei vantaggi di un detenuto. E poi c’è anche una questione economica per i costi che comporterebbe la creazione delle cosiddette “casette dell’amore” nelle prigioni. Peccato che invece non si consideri la vita sessuale del detenuto come un elemento importante per il suo trattamento rieducativo e la sua risocializzazione». Sulla linea completamente opposta è Donato Capece, segretario generale del Sappe (sindacato della Polizia Penitenziaria): «Siamo seri, con tutte criticità delle carceri italiane, dove si trovano i soldi per le casette dell’amore? E poi le prigioni rischierebbero di diventare postriboli di Stato e gli agenti guardoni di Stato. Si pensi piuttosto ad aumentare i permessi-premio o le misure alternative per andare incontro alle esigenze sessuali dei detenuti. Il carcere ha bisogno di una riforma, ma deve riguardare l’idoneità degli ambienti, la lotta al sovraffollamento, il bisogno dei detenuti di lavorare. In Italia ci sono 9 mila persone che stanno in carcere con pene inferiori a un anno. Perché? Sforziamoci di rispondere a domande come queste invece di preoccuparci della vita sessuale dei carcerati». Giuseppe Caforio, giurista e garante della Regione Umbria per le persone sottoposte a misure restrittive, giudica all’ANSA invece positivo il dibattito sul sesso in carcere: «I diritti hanno bisogno di tempo per maturare ed è giunto il momento di rivedere la norma che vieta ai detenuti di avere rapporti sessuali in carcere. L’Italia è tra i pochi Paesi europei ad applicare il divieto e siamo indietro rispetto ad altri che hanno invece normative specifiche. Già nel 2012 la Corte costituzionale aveva respinto un ricorso analogo sostenendo però che si tratta di un tema reale che deve essere affrontato dal Parlamento». Sulla stessa linea il Garante per i detenuti Stefano Anastasia: in una nota spiega, «Il riconoscimento del diritto alla sessualità dei detenuti non solo favorirebbe la loro crescita personale, ma andrebbe a beneficio dell’intera istituzione carceraria perché migliorerebbe i rapporti con gli agenti di polizia penitenziaria e aiuterebbe il clima generale della vita in carcere. Già nel 1999, l’allora capo del Dap Alessandro Margara propose la revisione dell’ordinamento carcerario con la previsione di aree ad hoc per incontri non a vista: il Consiglio di Stato rispose che non si poteva cambiare il regolamento, ma si doveva emanare una legge. Dopo oltre vent’anni siamo ancora qua a discuterne».