Simone di Cirene – personaggio misterioso centrale nella narrazione della Passione – viene ritratto dai Vangeli di Marco e Matteo come colui che condivise con Gesù il peso della croce; originario di Cirene – antica città della Libia orientale allora sotto controllo romano – Simone di Cirene si trovava a Gerusalemme presumibilmente per ragioni legate alla Pasqua ebraica.
I Romani, sfruttando la legge dell’angaria – un diritto che permetteva di requisire servizi forzati – lo costrinsero a portare il patibulum – il braccio orizzontale della croce – dopo che Gesù, sfinito dalle torture, non riusciva più a reggerlo.
Questo episodio – che si colloca nella quinta stazione della Via Crucis – non fu un gesto di compassione o pietà, ma un atto di imposizione militare. La scelta di Simone di Cirene, un ebreo della diaspora, mette in luce l’universalità del messaggio evangelico: anche uno straniero – travolto nel dramma contro la sua volontà – diventa parte integrante della salvezza.
Simone di Cirene: tra archeologia e devozione
L’importanza storica di Simone di Cirene è supportata da diversi ritrovamenti archeologici: negli anni ’40 del Novecento, ossari con i nomi Alessandro e Rufo furono rinvenuti a Gerusalemme, contribuendo all’ipotesi che la famiglia avesse mantenuto legami con la città.
La storia di Simone di Cirene, inoltre, si intreccia indissolubilmente con la cultura romana: costringendo un notabile a un compito umiliante, i soldati non solo dimostravano la loro autorità, ma lo escludevano ritualmente dalla Pasqua, rendendolo di fatto impuro.
Oggi, nella Via Dolorosa, la Cappella di Simone di Cirene – costruita nel 1895 dai francescani – segna l’esatto frangente in cui avvenne l’episodio con il termine “cireneo”, nel linguaggio comune, è diventato sinonimo di chi condivide il dolore altrui, un’eredità che unisce fede e antropologia.
Curiosamente, mentre Marco e Matteo insistono sul suo ruolo, Giovanni invece ometto questo dettaglio, descrivendo un Cristo che porta autonomamente la croce: una divergenza che riflette le diverse prospettive teologiche degli evangelisti.
Simone di Cirene: dalla Via Crucis a icona di solidarietà
La quinta stazione – dedicata a Simone di Cirene – si presta ad essere un invito a riflettere sul valore dell’aiuto anche quando è imposto poiché – pur agendo sotto costrizione – il Cireneo incarna un paradosso: la sua azione, pur se nata dalla violenza, diventa gesto redentivo.
Nelle rappresentazioni artistiche – dal Medioevo sino ad oggi – Simone di Cirene è spesso ritratto accanto a Gesù in un dialogo silenzioso di sguardi, simbolo di un’umanità condivisa.
La sua storia risuona in contesti inaspettati: durante l’apartheid in Sudafrica, ad esempio, teologi neri lo videro come metafora dell’oppresso costretto a sostenere il peso del dominatore.
Oggi, pellegrini e turisti percorrono la Via Dolorosa toccando la sua cappella, mentre gli studiosi discutono sul sottile confine tra storia e leggenda. Quel che resta certo è che Simone di Cirene – figura marginale nei testi sacri – è diventato un archetipo dal carattere universale: chiunque, anche casualmente, può trasformarsi in strumento di grazia e condivisione.