Vogliono giornalisti-cerimonieri. E li hanno quasi sempre avuti, senza troppi sforzi peraltro. Stavolta, però, hanno voluto metterlo addirittura nero su bianco nelle istruzioni per accreditarsi all’annuale Simposio WADA, in corso a Losanna. “Vuoi l’accredito? Allora devi sottoscrivere l’impegno a non fare commenti inappropriati sull’evento, sui relatori, sui partecipanti altrimenti ti ritiriamo l’accredito e ti escludiamo dai nostri futuri eventi”.
Che abbiano esagerato nel pretendere che i media si facessero valletti da cerimonia se n’è accorta persino l’Associazione internazionale dei 9.000 giornalisti sportivi (AIPS), da vent’anni presieduta dall’italiano Gianni Merlo. “Il vostro modulo di accreditamento è inaccettabile e ricorda i tempi bui della censura. La WADA è nata come un’organizzazione che deve difendere la trasparenza e l’integrità dello sport e ora impone condizioni al libero lavoro dei giornalisti? È quantomeno curioso e inaccettabile”.
Ovviamente Oliver Niggl, il direttore generale cui erano indirizzate queste parole, ha fatto spallucce. Del resto il nervosismo della Agenzia mondiale anti-doping è comprensibile. Irritati per la non squalifica dei 29 nuotatori cinesi trovati positivi al doping nel ’21 (alcuni di loro poi medagliati alle Olimpiadi di Tokyo), gli americani hanno chiuso il rubinetto e non hanno versato la loro quota di finanziamento per il 2024.
Attorno ai 3,6 milioni persi si concentra pure la campagna elettorale per la successione di Bach alla presidenza del Comitato Olimpico Internazionale, con il francese Lappartient, candidato, che suggerisce di bloccare l’assegnazione delle Olimpiadi invernali 2034 agli Usa per farli tornare a Canossa. Qualcuno si farà avanti a coprire il buco?
Probabile. Nel biennio ’18-’19 la Cina versò un extra di 2 milioni nelle casse WADA e ottenne il trattamento che sappiamo per i suoi 29 nuotatori dopati. Come prima del resto aveva fatto la Russia. Se ci sarà qualche versamento extra nei prossimi mesi, sarà senz’altro disinteressato. O no?
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