Mercoledì a Bruxelles si è svolta una manifestazione convocata da IndustriAll European Trade Union, federazione di sindacati dei lavoratori che operano nei settori metallurgico, chimico, energetico, minerario, tessile, dell’abbigliamento e delle calzature e nelle industrie e attività correlate. Di fronte alle sedi istituzionali dell’Ue c’era anche il Segretario generale della Uilm Rocco Palombella, che spiega così la scelta di prendere parte alla mobilitazione:
«Dopo aver denunciato inascoltati per anni nel nostro Paese i rischi di una transizione ecologica non governata, abbiamo deciso di portare il nostro grido di allarme, insieme a tutti i sindacati industriali europei, nel cuore delle istituzioni dell’Unione europea, dove si decide il destino di milioni di lavoratori e intere filiere produttive.
In questi anni abbiamo assistito a tutto e il suo contrario: prima la decisione sulla scadenza del 2035 con limiti rigidi, poi una prima retromarcia sull’elettrico e un’apertura a carburanti alternativi e oggi si sta mettendo in discussione l’intero sistema del Green Deal. Una confusione che ha causato effetti devastanti, con chiusura di stabilimenti, stop alla produzione di modelli elettrici, decine di migliaia di posti di lavoro persi».
Quali sono le richieste rivolte alla Commissione europea?
Ci aspettiamo dalla Commissione europea atti urgenti e concreti che chiariscano definitivamente quale sia la strada da seguire sulla transizione ecologica, quali strumenti e fondi che si mettono in campo per gestire gli effetti occupazionali che già registriamo.
Vogliamo che si delinei una politica industriale strutturale, con l’obiettivo della neutralità tecnologica e una programmazione certa e verificabile, con risorse straordinarie, come accaduto durante la pandemia, condivise con tutte le parti sociali, che rafforzino e rilancino la manifattura europea e settori strategici come automotive, siderurgia, elettrodomestico, microelettronica e tanti altri.
Ora è il momento che le istituzioni europee si fermino, riflettano e rivedano le misure previste sulla transizione ecologica. Se non gestita, come si sta facendo da anni, ci porterà a una progressiva desertificazione industriale favorendo Usa, Cina, India e le altre principali potenze mondiali.
La transizione deve essere un’opportunità di sviluppo, uno snodo necessario per rendere l’industria ecosostenibile e abbattere l’inquinamento. Tutto questo deve, però, avere una condizione preliminare: regole e limiti uguali per tutti gli Stati mondiali, con sanzioni per chi non li rispetta.
Ursula von der Leyen ha ripetuto recentemente in diverse occasioni che l’Ue andrà avanti sul Green Deal. Cosa ne pensa?
Negli ultimi mesi la Presidente della Commissione europea ha fatto dichiarazioni discordanti sul Green Deal, aprendo e chiudendo continuamente a modifiche. Noi chiediamo che finisca questa confusione che sta provocando solamente danni e si parta definitivamente avendo come priorità la salvaguardia occupazionale, il rilancio industriale e l’ecosostenibilità.
Le regole europee, votate e poi disconosciute anche dai nostri Governi, così come sono state previste vanno cambiate radicalmente. Lo devono capire la Commissione e tutte le istituzioni europee. Se non lo capiranno, noi siamo pronti a farglielo capire con ogni mezzo a nostra disposizione.
La scorsa settimana si è aperto il Dialogo strategico sul futuro dell’automotive, l’Ue promette di presentare un piano a inizio marzo. Lei cosa pensa occorra fare?
Pensiamo che l’automotive sia un settore strategico e centrale per l’occupazione e l’economia europea, un fiore all’occhiello in tutto il mondo, e deve avere la massima attenzione da parte della Commissione europea.
Il piano che presenterà Von Der Leyen il 5 marzo dovrà tenere conto delle richieste sindacali, a partire dalla salvaguardia occupazionale e del patrimonio industriale, ma anche degli investimenti nel rilancio produttivo e nelle infrastrutture, nell’accompagnamento, sotto ogni punto di vista, dei lavoratori in un cambiamento epocale che già sta rivoluzionando il mondo del lavoro.
L’Unione europea deve fare uno scatto di reni, deve rimettersi in una condizione di primo piano e riconsiderare le scelte fatte negli anni scorsi. L’Europa deve essere protagonista del cambiamento, attraverso una politica industriale non ideologica ma pragmatica, concreta, senza mettere a repentaglio intere filiere produttive. Non può esistere un’Europa senza industria.
Ci sono altri settori che le politiche europee sulla transizione stanno mettendo a rischio nel nostro Paese? Qual è la loro situazione?
Non possiamo escludere nessun settore, ma sicuramente i più a rischio oltre all’automotive sono siderurgia ed elettrodomestici. Le mancate scelte dei Governi nel settore siderurgico, considerato strategico per il nostro Paese a vocazione manifatturiera, hanno portato inevitabilmente a un arretramento in questi anni, con riflessi in tutti gli altri settori utilizzatori di acciaio. Una su tutti la vertenza dell’ex Ilva, emblema della mancanza di strategia e visione. Da tempo chiediamo di intervenire in modo strutturale per evitare l’ulteriore pericolosa crescita della dipendenza del nostro sistema manufatturiero dalle importazioni estere di acciaio. Quel che è certo è che dal futuro dell’ex Ilva dipenderà il settore della siderurgia in Italia.
Per quanto riguarda il settore del bianco, invece, basti pensare che nel 2024 si sono prodotti meno di 10 milioni di grandi elettrodomestici, nel 2000 erano 30 milioni. L’ex Candy di Brugherio, stabilimento storico, produrrà l’ultima lavatrice a giugno dopo essere stato ceduto ai cinesi nel 2018. La stessa Electrolux ha annunciato tagli a novembre con esuberi da gestire con esodi incentivati e contratti di solidarietà. E adesso Beko, con i 2mila esuberi annunciati in Italia e le ripercussioni sulle migliaia di lavoratori delle ditte dell’indotto.
All’ultimo incontro al Ministero i turchi hanno dato la disponibilità a iniziare un confronto su un nuovo piano industriale, senza aprire la paventata procedura di chiusura e di licenziamento, ma le disponibilità aziendali sono ancora troppo generiche. Abbiamo un prossimo incontro il 10 febbraio, continueremo a chiedere garanzie e un piano industriale dettagliato.
Quanto le politiche sulla transizione incidono sulle prospettive della siderurgia italiana e quanto possono incidere sul futuro dell’ex Ilva?
Sono anni ormai che diciamo al Governo e all’Europa che una transizione non gestita non può che incidere in modo negativo sulle prospettive della siderurgia italiana. Purtroppo siamo sempre rimasti inascoltati. Per quanto riguarda l’ex Ilva siamo ancora una volta davanti a un bivio, in una fase molto delicata della vendita a un nuovo acquirente. Ci sono solo tre proposte per l’acquisto di tutto il Gruppo e gli indiani di Jindal Steel International hanno rilasciato dichiarazioni sul futuro degli stabilimenti che reputo pericolose, come l’idea di chiudere subito l’area a caldo senza un passaggio graduale dalla produzione a ciclo integrale a quella a forni elettrici.
Questo piano lo abbiamo già visto a Piombino, quando nel 2014 fu chiuso l’altoforno con la promessa di costruire forni elettrici che a oggi ancora non ci sono. Per noi la transizione all’elettrico e la decarbonizzazione devono avvenire in maniera graduale, con gli altoforni in marcia adeguati dal punto di vista ambientale, avviando contemporaneamente la costruzione di forni elettrici e impianti di preridotto che andranno a sostituire l’attuale produzione a carbone. Solo così sarà possibile salvaguardare l’ambiente, l’occupazione, diretta e indiretta, e la produzione. Il risanamento ambientale potrà essere realizzato solamente con gli impianti in marcia e la continuità produttiva.
Il mondo industriale italiano lamenta anche gli alti costi energetici del nostro Paese rispetto ai competitor europei. Occorrerebbe un intervento del Governo su questo fronte?
A causa dell’assenza annosa di una politica energetica e industriale, in Italia l’energia costa fino a quattro volte in più rispetto ad altri Stati europei e questo rende non competitivi interi settori, a partire da quelli energivori come la siderurgia, l’automotive e l’elettrodomestico. L’energia è la prima voce di costo nel bilancio delle aziende in questi comparti e superano di molto quello dei salari dei lavoratori. Per contrastare l’emergenza, in via transitoria, bisogna puntare sul gas, sfruttando le capacità nazionali, e contestualmente colpire con rigore gli abusi e le speculazioni, fissare un tetto ai prezzi, definire un’extra tassa sugli extra profitti dei giganti dell’energia.
(Lorenzo Torrisi)
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