La Sindone di Torino – un lenzuolo di lino di 4,41 x 1,13 metri tessuto a spina di pesce – custodisce l’immagine sfocata di un uomo fustigato e crocifisso, con ferite riconducibili alla Passione di Cristo; scoperta in Europa nel 1353 a Lirey, in Francia – senza documentazione precedente – è stata definita da Giovanni Paolo II “specchio del Vangelo” per la sua corrispondenza con i racconti evangelici.
La scienza non ha ancora spiegato come si sia formata quest’impronta: esperimenti con pigmenti, radiazioni o decomposizione non riescono a replicare esattamente la sua precisione anatomica.
Nel 1988, la datazione al carbonio-14 la collocò tra il 1260 e il 1390, ma studi successivi (come la tecnica WAXS nel 2022) suggeriscono origini più antiche: la Chiesa cattolica – anche se non ne certifica l’autenticità – ne riconosce il valore come “icona del sacrificio”, esortando a un approccio equilibrato tra fede e ragione.
Sindone e Savoia: storia di un simbolo di potere e devozione
Acquisita dai Savoia nel 1453, la Sindone è divenuta un palladio dinastico, cioè un mezzo di legittimazione politica e religiosa: trasferita a Torino nel 1578 secondo la volontà di Emanuele Filiberto, fu nascosta durante la Seconda Guerra Mondiale nel santuario di Montevergine per sottrarla ai nazisti, attratti dal suo valore simbolico.
I Savoia ne organizzarono ostensioni solenni, trasformandola in un evento pubblico: dal 1506, con l’istituzione della festa liturgica del 4 maggio, a quelle per matrimoni reali, come quello di Umberto II nel 1930. La cappella barocca di Guarino Guarini – costruita appositamente per custodirla – andò in fiamme nel 1997, ma il lenzuolo si salvò miracolosamente.
Oggi, conservata in una teca climatica nel Duomo, la Sindone resta un simbolo ambiguo e controverso dai molteplici significati: per alcuni è la prova concreta della Resurrezione, per altri solo un manufatto medievale, ma anche chi ne nega l’autenticità ammette però il suo valore allegorico.
Sindone oggi: tra culto, scienza e le ombre del marketing religioso
La Sindone, ad oggi, è meta di numerosissimi pellegrinaggi e la Confraternita del Santo Sudario – fondata nel 1598 – gestisce il museo torinese dedicato, promuovendo ricerca e carità, ma alcuni critici accusano la devozione popolare di commercializzazione: nel 2015 – infatti – i biglietti per l’ostensione costavano fino a 30 euro, e gadget riproducenti il volto sindonico invadono i negozi.
Nel frattempo, la scienza fa passi avanti: studi sui pollini – come quelli del botanico Max Frei, che individuò specie mediorientali – e analisi del sangue – con tracce di bilirubina, segno di torture – ridanno credibilità alle ipotesi sulla sua autenticità. In una intervista a “La Verità” nel 2024, il patologo ed esperto studioso Pierluigi Baima Bollone ha definito al termine di un altro ciclo di studi sulla Sindone come «autentica» e risalente a 2000 anni fa, con «veri segni di flagellazione» e con la certezza che quel telo abbia viaggiato da Gerusalemme verso l’Europa, per l’appunto poco meno di 2 millenni prima.
Ma il mistero permane: come conciliare un telo medievale con l’immagine di Cristo? Forse la risposta risiede nella sua dualità: oggetto di fede per i credenti, un vero e proprio rompicapo per gli scienziati, la Sindone riflette la divergenza eterna tra mistero e ragione.