La Francia cerca di occupare la scena in Siria e Al Sharaa, oltre ad aprirsi le porte dell’Europa, vuole accaparrarsi l’appoggio degli arabi del Golfo. Ma il Paese deve fare i conti con gli interessi di Israele e Turchia e, soprattutto, non ha risolto i problemi interni di convivenza tra le varie etnie e religioni. E mentre gli americani riducono la loro presenza, senza abbandonare le basi più importanti e la difesa dei pozzi petroliferi, i curdi si ribellano al governo e chiedono uno Stato federale; i drusi sono sempre più sotto l’ala protettrice di Israele, che li blandisce in ogni modo.
Nel puzzle del Medio Oriente, però, dice Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia, collaboratore di Avvenire, c’è anche un altro tassello non ancora a posto: quello del Libano, dove Israele continua a bombardare e a impedire agli abitanti di rientrare nei villaggi del sud. Trump, però, che ora mostra segni di attrito con Netanyahu, ha in mente qualche cambiamento nello staff che si occupa di questo dossier.
Israele, Turchia, Paesi del Golfo, Francia: cosa si sta muovendo intorno alla Siria e che futuro si sta delineando per il dopo Assad? E gli USA che ruolo giocano?
Gli USA non intendono abbandonare la Siria, ma diminuire la loro presenza, mantenendola nella zona dei giacimenti petroliferi o di gas. E poi c’è la base al confine tra Iraq, Giordania, Siria, dove vogliono restare, riducendo, appunto, gli effettivi. Comunque, c’è già chi si prepara a prendere il loro posto: la Francia è interessata a conoscere il futuro della regione curda e vuole approfittare economicamente del fatto che i russi non potranno avere più l’influenza di prima, soprattutto sulla costa.
Il 1º maggio un’azienda francese ha siglato un contratto di trent’anni per la gestione e l’ammodernamento del porto di Latakia. Un affare da miliardi. Un contratto che era già francese, ma che è stato rinnovato: così Al Sharaa è riuscito a tessere rapporti con la porta dell’Europa, come viene considerata la Francia. Nell’incontro con Macron ha chiesto anche la rinuncia alle sanzioni da parte dell’Europa.
Gli americani che strategia hanno?
L’America non ha ancora riconosciuto il nuovo governo siriano, ma sta dando carta bianca agli europei. Bisognerà vedere se Trump, nel suo viaggio in Medio Oriente in questi giorni, oltre agli incontri con Arabia Saudita, Emirati e Qatar, avrà tempo per vedere Al Sharaa. Il leader siriano, comunque, ha allargato il raggio delle sue visite anche nel mondo arabo, l’ultima nel Bahrain.
In politica estera, quindi, è molto attivo, ma i problemi interni li ha risolti?
I nodi da sciogliere sono sempre quelli e riguardano il potere che hanno le fazioni radicali di HTS. Perché, dopo l’ondata di violenze contro gli alawiti dei primi di marzo, ce n’è stata un’altra contro i drusi. La situazione, insomma, non è affatto tranquilla. Israele sta giocando la carta drusa, aprendo dispensari nei villaggi siriani, invitando i dignitari religiosi drusi a incontrare i loro parenti in Israele, al di là del confine. Mettono a disposizione dei pullman per questi spostamenti, cercando di creare contatti tra le due sponde: i drusi siriani e quelli israeliani.
Israele sta trattando con la Turchia riguardo alla presenza di entrambi in Siria. Che problemi devono affrontare?
Gli americani hanno detto a Israele di mettersi d’accordo con i turchi su come spartirsi l’influenza. Le parti si sono incontrate in Azerbaijan per discutere della loro presenza sul territorio siriano: si parla della necessità di una Siria sovrana, unificata; in realtà la situazione è ancora fluida.
Uno dei problemi rimane la zona curda: si è trovata una soluzione?
I curdi avevano raggiunto un accordo con il governo di Al Sharaa, ma ora vogliono un sistema federale, in cui ogni zona avrà una sua autonomia a sfondo etnico e religioso.
Una proposta che potrebbe incontrare i favori di Israele?
I turchi non ne vogliono sapere: hanno accettato un’area curda in Iraq, ma anche lì continuano a fare le loro incursioni, mentre si sono già presi una parte del territorio curdo sul versante siriano. Israele, da parte sua, è storicamente alleato dei curdi e, in Azerbaijan, con i turchi, oltre a discutere delle basi di Ankara in Siria (che Tel Aviv non vuole), si è parlato proprio della questione curda.
Cosa vuole Netanyahu da Erdogan?
Israele è disposto ad accettare basi a Idlib, ma non lungo il confine che porta al nord dell’Iraq. Vogliono avere un corridoio nella zona drusa meridionale fino ad al-Bukamal, sino a dove inizia la zona curda, correndo sul confine orientale della Siria. Una specie di cuscinetto per ridurre anche territorialmente la Siria interna. Ammesso che poi il Paese resti unito sotto Damasco, che è a 20 km dalla zona sotto controllo israeliano. Le recenti aggressioni ai drusi sono avvenute principalmente nella periferia della capitale siriana, a Jaramana, Sahnaya.
Sono questioni aperte da tempo, ma si è fatto qualche passo avanti per risolverle?
L’unica questione in via di soluzione è quella che riguarda il confine tra Siria e Libano: la Francia sta agevolando la delimitazione dei confini, fornendo anche vecchie copie del suo archivio topografico, che risale alla proclamazione del Grande Libano: si torna indietro di cento anni.
Il Libano è un altro tassello importante del puzzle mediorientale, almeno lì lo scenario è più chiaro? Gli USA hanno fatto sentire il loro peso: stanno contribuendo ad appianare le divergenze con Israele?
Riguardo al Libano, c’è stato, nei mesi scorsi, un pressing pesante da parte di Morgan Ortagus, inviata di Trump. Sembra che la Casa Bianca voglia frenarla o addirittura sostituirla, perché non è stata molto diplomatica con le autorità libanesi. Lo avrebbe fatto presente lo stesso presidente libanese, Joseph Aoun. Washington intenderebbe anche mandare un nuovo ambasciatore americano a Beirut. Gli statunitensi, comunque, coprono ancora le azioni degli israeliani, che si sono spinti a bombardare nella periferia sud di Beirut. Aoun e il primo ministro Nawaf Salam sono seccati perché non ci sono progressi sul fronte sud: Israele mantiene il controllo di cinque punti strategici e impedisce l’inizio della ricostruzione.
Cosa sta succedendo?
C’è gente che ancora non riesce a raggiungere i propri villaggi sul confine, e questo sta provocando malumori in ambito sciita: lo fanno apposta, israeliani e americani vogliono portare la popolazione sciita a ribellarsi.
Il disarmo di Hezbollah a che punto è?
Aoun continua a dire che se ne occupa lui. Diversi responsabili di Hezbollah si sono detti d’accordo con il disarmo, riferendo di aver ritirato tutti gli armamenti a sud del Litani. Israele, però, continua a effettuare incursioni e a distruggere case, strade e tutto il resto, mentre Hezbollah vuole garanzie che il territorio venga difeso dall’esercito libanese. I politici libanesi chiedono che il disarmo venga completato, dopodiché, se Israele dovesse attaccare, toccherà all’esercito rispondere. Hezbollah, invece, vuole la sicurezza che i soldati libanesi siano in grado di intervenire già ora.
Intanto USA e Israele sembrano ai ferri corti su diversi dossier, dallo Yemen all’Iran. Come sono i rapporti tra loro?
È vero che Israele è seccato perché in diverse decisioni gli americani hanno mostrato di badare prima ai loro interessi. È successo nello Yemen, dove hanno fermato i raid anche se gli Houthi continueranno a colpire eventuali navi israeliane nel Mar Rosso, e anche con l’Iran. Tuttavia, non ci sarà nessuna rottura. D’altra parte, anche Netanyahu ha detto di sì agli USA, soprattutto a Biden, per comportarsi poi come voleva.
Si capirà qualcosa di più dopo il viaggio di Trump in Medio Oriente?
C’è anche il vertice della Lega Araba, sabato, a Baghdad. Con gli iracheni in allerta: Al Sharaa è ricercato per loro, accusato di un massacro di civili; dicono che hanno diffuso il mandato di arresto a tutti i posti di frontiera, anche se non credo che oseranno bloccarlo.
(Paolo Rossetti)
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