Un lievitare di numeri, da un anno all’altro. Il fenomeno della Colletta alimentare, giunto alla sua dodicesima edizione, si è fatto sempre più imponente, sempre più convincente per la sua efficacia incontestabile, misurabile in tonnellate, in numero di supermercati coinvolti, di volontari, di enti, di assistiti, di gente che aderisce – lo scorso anno oltre 5 milioni di italiani – che senza troppe domande, senza parole, dimostra di saper bene che la solidarietà è semplice e concreta come un sacchetto di plastica da riempire di scatole di tonno, pelati e omogeneizzati. Sarà così anche oggi, nessuno ne dubita: il bisogno di chi non ha il necessario per tirare avanti, mobilita, smuove montagne di prodotti, le convoglia ai magazzini, mette in moto un meccanismo di distribuzione collaudato. Quante persone troveranno risposta al loro bisogno? Lo scorso anno sono stati 1.480.000 gli indigenti assistiti attraverso gli oltre 8.500 enti convenzionati con il Banco Alimentare, ma non è di certo un dato di questo tipo, una quantità misurabile, a descrivere il valore di un pacco di alimenti che spesso è avvertita da chi vive nel disagio come una manna del cielo.
Per Paola i volontari del banco sono diventati come “i familiari stretti”, così li definisce andando con il pensiero ai genitori anziani e alle due sorelle che vivono a circa mille chilometri da lei. Sposata con Angelo, manovale, due locali in affitto alla periferia di Varese, due bambini di 3 e 5 anni, un bilancio non facile da mantenere in equilibrio. «Quando mi sono accorta di aspettare un altro bambino, mi sono disperata… Avevo pensato di abortire» confida affrettandosi ad aggiungere: «Adesso sono più sollevata, la gravidanza va avanti… ho conosciuto Maddalena, Anna e Andrea e non mi sento più sola e oppressa, ringrazio Dio di averli incontrati… Me li ha fatti conoscere il mio medico». «Quando venivano le prime volte a portare il pacco si fermavano con noi un po’ di tempo, giocavano con i bambini – racconta – Non facevano domande e non davano nessun consiglio, ma guardavano i miei figli, raccontavano qualcosa… Una volta mi sono messa a piangere, mi sono sfogata e ho detto a loro che avevo un gran peso nel cuore. Anna mi ha abbracciato, senza dire niente. Ho sentito che non ero più sola. In quel momento ho cominciato a capire che potevamo farcela».
L’emarginazione per qualcuno è più insopportabile della fame: Gaetano e Carlo, dall’età indefinibile e sfuggenti come le loro storie, che ogni sera trovano rifugio al dormitorio, nel giorno della Colletta si mescolano ai volontari dichiarando la loro disponibilità senza orari e senza risparmiare energie. «Gli altri aiutano noi tutto l’anno, e noi oggi non possiamo tirarci indietro…» ammettono con un accento di fierezza. «E poi… questo è un bel giorno, nessuno ci tratta come barboni, siamo passati a un ruolo diverso. Siamo noi a darci da fare per chi non se la sa cavare» spiega Carlo con l’aria di chi mette a punto un ragionamento che fila e soprattutto recupera un orgoglio che non aveva provato da tempo. «La cosa che mi dà fastidio – aggiunge – è quando mi chiedono dove abiti. Questa sera parlo con la suora: vorrei proporre di cambiare il nome della nostra casa». L’amico lo guarda un po’ stranito: «E come vorresti chiamarla?» «Non so… Ma dormitorio, non va bene, la gente crede che quelli che vanno al dormitorio son tutti barboni… invece guarda qua, ti sembro un barbone? Guarda che lavoro importante stiamo facendo per i poveri».
Mangiano alla mensa, trovano un letto al dormitorio, ma i loro sogni viaggiano oltre, inseguono una dignità che, solo chi limita lo sguardo alle apparenze, crede perduta per sempre nel fango e nel freddo. Ma in realtà non succede così: anche Enrica, pensionata sola e in grave difficoltà economica, è stata abbandonata da tutti per le sue manie di grandezza che si intrecciano con un suo atteggiamento piuttosto scontroso. Ne sanno qualcosa Luca e Fabrizio i volontari che le portano il pacco e a volte vengono ricevuti sul pianerottolo, perché «la casa non è abbastanza in ordine, il pavimento non è lucido e poi lei non digerisce la pasta se non è integrale…». Luca e Fabrizio, si son chiesti perché di tante fisime, si sono interrogati sul senso della carità e hanno trovato un’unica risposta osservando la signora Enrica che puntuale li aspetta per protestare, per ricordare tutti i mali e le ingiustizie le sono piovute addosso e che non può fare a meno di raccontare a qualcuno. Piuttosto morirebbe di fame, ma non può proprio fare a meno di brontolare, di fare qualche capriccio, di sfogare la sua solitudine. Il filo che lega pacchi di viveri, assolutamente necessari per sopravvivere, ad una sete di compagnia e di senso che attraversa tanti incontri e tante storie, emerge con evidenza già durante la grande mobilitazione di oggi: Daniela giovane filippina aiutata qualche anno fa dal banco, ha ingaggiato tutta la sua comunità per la mobilitazione davanti ai supermercati, mentre padre Nando priore del convento di Sant’Antonio, a Como, ha deciso di celebrare la prima messa del mattino dedicando una speciale preghiera a tutti i protagonisti della Colletta, dai volontari agli assistiti a quanti oggi faranno la “spesa solidale”.
(Laura d’Incalci)