DIETRO LE QUINTE/ Pd-Open, l’arma di Di Maio per ricattare Zingaretti

- Antonio Fanna

L’inchiesta sui finanziamenti della Fondazione Open a Renzi apre un nuovo fronte politico nel governo: M5s chiede una commissione sui soldi ai partiti

renzi 7 lapresse1280 640x300 Matteo Renzi all'ultima Leopolda (LaPresse)

Colpisce Matteo Renzi ma prende in mezzo tutto il governo l’inchiesta sui finanziamenti che la Fondazione Open ha versato negli anni al leader di Italia viva. In realtà i soldi gli sono arrivati quando era segretario del Pd e probabilmente non è soltanto l’ex capo del governo a doversi preoccupare. Gli inquirenti cercano anche bancomat e carte di credito messe a disposizione di parlamentari. Il fascicolo è aperto, la sua chiusura è lontana, ma se gli inquirenti si sono decisi a effettuare perquisizioni a tappeto significa che i sospetti aumentano.

Le perquisizioni hanno riacceso lo scontro tra i due bulli dell’esecutivo, il capo politico del M5s e il leader di Italia viva. I grillini vogliono una commissione parlamentare sui finanziamenti ai partiti, Renzi ovviamente no, ma neppure il Pd: lo ha detto ieri uno che di conti se ne intende, cioè il tesoriere del partito Luigi Zanda. Chissà che cosa si scoprirebbe se venisse scoperchiato il pentolone, per usare un’espressione benedetta da papa Francesco sul volo di ritorno dal Giappone. Il premier Conte ostenta prudenza ed equidistanza, ma alla fine le sue poche parole aprono alla commissione: il Parlamento è sovrano, dice il capo del governo. Se c’è una maggioranza che la vuole, la commissione si farà.

In realtà Di Maio vorrebbe blindare la commissione, facendola inserire tra i punti del nuovo contratto (o patto o accordo o quello che si chiamerà) che i grillini vogliono siglare a gennaio, una volta approvata la legge di bilancio. La commissione nel contratto significa che, se non si fa, salta tutto. Fino a che punto il M5s tirerà la corda? E fino a che punto faranno altrettanto Renzi e Zingaretti?

L’inchiesta sta mettendo a nudo tutte le contraddizioni di questa maggioranza giallorossa, che finora passa da un’emergenza all’altra, dai guasti del bilancio a quelli del maltempo, senza mostrare di avere un respiro ampio. Il fiato è corto e affannato, ciononostante si continua a proclamare che l’intesa reggerà per tre anni, o almeno fino all’elezione del nuovo capo dello Stato. Che molti ormai individuano in Romano Prodi, il vero trait-d’union che mette insieme entità altrimenti inconciliabili come Beppe Grillo, i rapporti con la Cina, le entrature in Vaticano, i voti del Pd.

Oggi dunque le inchieste scatenano reazioni muscolari: Di Maio vuole una commissione che faccia luce sui soldi ai partiti, gli uomini di Renzi dicono di essere favorevoli a patto che si accendano i fari anche sulla Casaleggio Associati, Conte traccheggia. Non è l’unico dossier in materia giudiziaria che divide nel profondo le forze di maggioranza: c’è anche la prescrizione dei processi a provocare spaccature. Al momento non si vedono pontieri al lavoro tra gli alleati di governo. Ma se M5s, Pd, Italia Viva e Leu vogliono arrivare fino al 2023, dovranno cominciare a trovare accordi sulla giustizia non a gennaio, ma già nei prossimi giorni.







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