Fino al 2022, in Italia il cognome paterno veniva attribuito automaticamente ai figli per motivi di tradizione e per norme giuridiche risalenti a un’epoca in cui il diritto di famiglia era improntato alla patria potestà. Già nel 2016 la Corte Costituzionale aveva stabilito che i genitori potessero aggiungere il cognome materno a quello paterno, senza imporlo come regola generale; una soluzione facoltativa che però non aveva cambiato la prassi dominante. Ma la Corte Costituzionale nel 2022 è tornata sul tema e ha dichiarato incostituzionale l’attribuzione del solo cognome paterno, poiché violava i principi di uguaglianza tra i genitori, il diritto all’identità personale e la parità nella responsabilità genitoriale.
Concretamente:
1. Principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) – La norma discriminava la madre, in quanto escludeva automaticamente il suo cognome senza alcuna giustificazione valida. Trattava in modo diverso i due genitori senza un motivo oggettivo, rafforzando una visione patriarcale della famiglia.
2. Diritto all’identità personale (art. 2 Cost.) – Il cognome è un elemento fondamentale dell’identità di una persona. Privare un figlio del cognome materno per una regola automatica impediva il pieno riconoscimento della sua identità familiare.
3. Parità tra i genitori nella responsabilità genitoriale (art. 29 Cost.) – La Costituzione sancisce l’uguaglianza tra marito e moglie nel matrimonio e nella famiglia. L’imposizione del solo cognome paterno era retaggio di un’epoca in cui il padre era considerato capo indiscusso della famiglia, una visione ormai superata dal diritto moderno.
Dopo la sentenza della Corte nel 2022 la regola è quindi cambiata e ora il cognome del bambino deve contenere sia quello del padre sia quello della madre, a meno che i genitori non scelgano di comune accordo un solo cognome. In caso di disaccordo, vengono attribuiti entrambi i cognomi in ordine alfabetico.
La sentenza ha segnato un passo importante verso la parità di genere e il riconoscimento dell’identità familiare dei figli. Il tema del doppio cognome e della parità nell’attribuzione del cognome ai figli era stato dibattuto a lungo in Italia, ma fino alla sentenza della Corte nel 2022 il Parlamento non era mai riuscito ad approvare una legge in merito. Né c’è ancora riuscito! Perché la legge di fatto non c’è ancora. Il cambiamento è avvenuto più per necessità giuridica che per iniziativa politica.
Per secoli, in Italia e in molti altri Paesi, il cognome paterno è stato considerato un elemento naturale dell’identità familiare. E forse anche per questo c’è stata mancanza di consenso politico, in chi temeva che questo potesse pregiudicare l’identità familiare, mentre appare positivamente sottolineata dalla presenza dei due cognomi.
Restano comunque aperte altre questioni, per cui il dibattito ha visto non poche divisioni tra chi voleva un cambiamento radicale (doppio cognome obbligatorio), chi temeva complicazioni burocratiche o il rischio di generare lunghi cognomi multipli nel passaggio intergenerazionale.
Nell’attesa che il Parlamento torni a riflettere e a decidere cosa sia più giusto e più opportuno, il senatore Dario Franceschini pochi giorni fa ha proposto di attribuire al neonato il solo cognome materno, forse per superare il retaggio patriarcale ed evitare la proliferazione di doppi cognomi, ma l’idea ha sollevato dubbi su una possibile discriminazione inversa.
Ben poco cambierebbe nell’interpretazione complessiva degli articoli della Costituzione, che allora sembrava discriminava la madre, se ora venissero interpretati in modo discriminante nei confronti del padre. L’idea di dare solo il cognome materno rischia di incontrare resistenze simili a quelle che per secoli hanno impedito il cambiamento della vecchia norma.
Inoltre, se il problema principale è la parità tra i genitori, alcuni potrebbero vedere questa soluzione come una discriminazione al contrario: un evidente indebolimento della figura paterna, del suo ruolo e della sua rappresentatività.
Il vero tema è come riconoscere la bigenitorialità a cui ogni bambino, salvo casi eccezionali, ha pieno diritto: il diritto ad avere una famiglia composta da un padre e da una madre; una famiglia che lo ama e in cui entrambi i genitori sono impegnati a garantirne in condizione di parità il processo di educazione, di crescita e di maturazione.
Forse la proposta di Franceschini potrebbe essere anche una provocazione o una strategia per forzare il Parlamento a trovare una soluzione definitiva e più equa, aprendo il dibattito a nuove alternative. Ma ciò che è essenziale è superare la dicotomia che contrappone madre a padre nell’assegnazione del cognome.
Non abbiamo bisogno di un nuovo terreno di scontro. Il rischio che si possa ridurre l’importanza e misconoscere il valore di uno dei due genitori va assolutamente rimosso, perché è di entrambi che il figlio ha bisogno. E né l’uno né l’altro possono essere considerati autosufficienti. Per questo respingiamo la proposta Franceschini. Non basta un genitore per mettere al mondo un figlio né tanto meno per prendersene cura. Attualmente, la regola del doppio cognome sembra la soluzione più equilibrata, ma il dibattito rimane aperto.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.