Sondaggi in Germania: CDU-CSU al 27%, AfD al 23%, SPD cala. Merz regge il colloquio con Trump e prepara 60.000 nuovi soldati per la difesa
Sondaggi aggiornati e clima politico in movimento: la Germania si risveglia con numeri che raccontano più di mille dichiarazioni, secondo cui la CDU-CSU sale al 27%, indicando un +1% rispetto all’ultima rilevazione, mentre l’AfD resta saldamente al secondo posto con il 23%, il Partito Socialdemocratico scivola ancora, toccando il 15% (-1%), trascinando con sé l’ex governo Scholz in un graduale ridimensionamento.
Seguono i Verdi, fermi al 12%, mentre la Linke recupera consensi e arriva all’11% (+1%), in fondo alla classifica, l’FDP e BSW si spartiscono quel che resta del panorama politico, entrambi fermi al 3%, un dato che dice molto sullo stato di salute dei partiti centristi e di rottura.
Non si tratta soltanto di cifre su un grafico perché i sondaggi riflettono un Paese che si sta spostando, con cautela ma decisione, verso una destra più strutturata e pragmatica; Friedrich Merz raccoglie i frutti di una comunicazione politica prudente e misurata, dove ogni parola pesa e ogni mossa viene calibrata e questo ha premiato soprattutto sul fronte della credibilità con il centrodestra moderato che torna protagonista, mentre le ali estreme si contendono il ruolo di “terza via” in un dibattito pubblico sempre più spaccato e nervoso.
L’AfD rafforza le proprie posizioni senza crescere ancora, prova che una parte dell’elettorato si è fermata, forse in attesa di capire se il nuovo governo saprà dare risposte concrete, nel frattempo, la sinistra sembra arrancare con il SPD che perde ancora terreno e fatica a trovare un’identità convincente, mentre i Verdi, che erano emersi come forza propulsiva nei momenti più difficili della scorsa legislatura, ora sembrano fermi, quasi paralizzati da dinamiche interne e mancanza di prospettive.
Sondaggi in Germania: Merz tiene il punto con Trump e rilancia l’immagine della CDU all’estero
I sondaggi sono spesso influenzati anche da ciò che succede fuori dai confini nazionali e la visita di Friedrich Merz a Washington, per il suo primo incontro ufficiale con Donald Trump, ne è una prova tangibile: nello Studio Ovale ha avuto luogo il confronto diretto che molti temevano con Trump che ha monopolizzato la scena (com’è nel suo stile) ma Merz è riuscito a mantenere il sangue freddo, evitando qualunque trappola.
Il presidente USA lo ha elogiato per l’inglese, per il successo elettorale, ma ha anche lanciato qualche frecciata all’ex cancelliera Angela Merkel, criticando la gestione “troppo morbida” dell’immigrazione; Merz ha ascoltato, ha sorriso, e ha incassato senza replicare, un atteggiamento che gli è valso, almeno per ora, il rispetto delle cancellerie europee e il sostegno di una parte dell’elettorato tedesco che guarda con apprensione al rapporto tra Germania e Stati Uniti.
Nessuna domanda sull’AfD, come ci si aspettava: Trump, pur avendo lasciato intendere di voler affrontare l’argomento, ha preferito sorvolare, lasciando la questione sospesa, Merz ha confermato che “non se n’è parlato”, rimarcando come il confronto con l’AfD debba avvenire nelle sedi istituzionali, senza clamori mediatici ma dietro questo silenzio, si intravede una precisa strategia: evitare di dare visibilità a un partito che cresce proprio grazie alla radicalizzazione del dibattito pubblico.
L’approccio di Merz, molto sobrio, è stato interpretato in patria come un segno di equilibrio, tanto più che ha scelto di regalare a Trump il certificato originale di nascita del nonno tedesco, un gesto simbolico che ha fatto notizia e ha rafforzato il legame personale tra i due leader; sul piano più concreto, Merz ha provato a ottenere impegni più decisi da parte americana sul fronte della guerra in Ucraina e dei dazi commerciali, ma Trump ha liquidato le richieste con una metafora sorprendente, secondo la quale “a volte è meglio lasciarli combattere, come due bambini che litigano”.
Il cancelliere tedesco ha glissato, puntando tutto su una narrazione più pacata e istituzionale, una strategia che, per ora, sta pagando anche nei sondaggi, dove l’immagine di leader affidabile e pacato continua a convincere molti elettori.
Sondaggi in Germania: 60.000 nuovi soldati in vista, la sicurezza torna priorità nazionale
Nelle ultime settimane, i sondaggi hanno mostrato agli occhi di tutti come il tema della difesa stia tornando centrale nel dibattito tedesco e lo confermano le parole del ministro della Difesa Boris Pistorius, che ha parlato della necessità di reclutare fino a 60.000 soldati in più per far fronte agli impegni presi in ambito NATO, una cifra che mette nero su bianco la trasformazione in atto nelle forze armate tedesche, che oggi contano circa 181.150 militari, ma che dovranno crescere rapidamente per rispondere a un contesto internazionale sempre più imprevedibile.
Pistorius, rimasto al suo posto anche dopo il cambio di governo, ha illustrato un piano basato sul servizio volontario, con un questionario inviato a tutti i diciottenni – obbligatorio per i ragazzi, facoltativo per le ragazze – per sondare disponibilità e condizioni fisiche; non si torna, almeno per ora, alla coscrizione obbligatoria (abolita nel 2011) ma la discussione è aperta e mentre le caserme vengono rafforzate e si studiano nuove modalità di addestramento, il governo Merz fa intendere che la Germania non può più permettersi di delegare la propria sicurezza.
Allo stesso tempo il rafforzamento dell’esercito s’inquadra in una strategia più vasta di posizionamento internazionale, dove l’obiettivo è mostrare agli alleati, soprattutto agli Stati Uniti, che Berlino è pronta a fare la propria parte e che la retorica diplomatica può camminare di pari passo con una forza militare credibile e reattiva e proprio i sondaggi premiano questa chiarezza: gli elettori apprezzano l’idea di una difesa più concreta e meno retorica, soprattutto in un periodo in cui le minacce appaiono sempre più vicine.