Negli ultimi sondaggi dell’istituto INSA, la CDU-CSU è tornata al 27%, davanti a un’AfD ancora stabile al 23%, seguita da una SPD ferma al 16%, dai Verdi all’11% e da Die Linke che scivola al 10%, con FDP e BSW fermi al 4%, ma dietro questi numeri si intravede una dinamica più profonda, perché la fotografia del Paese è quella di una società spaccata dove le tensioni politiche si fanno sempre più accese e il ruolo di Friedrich Merz sta diventando centrale.
In pochi mesi Merz è riuscito a cambiare completamente il clima intorno a sé, passando da figura contestata a leader in ascesa con un consenso personale che ha guadagnato 13 punti in quattro settimane, ora al 36%, grazie a uno stile diretto e a un’agenda molto concreta che ha preso forma con la sua visita a Washington, un viaggio che ha colpito per la sobrietà dei toni ma anche per la chiarezza con cui ha affrontato temi fondamentali dell’agenda tedesca come i dazi sulle auto tedesche e il rapporto con Trump, un momento in cui il cancelliere ha evitato forzature e si è fatto apprezzare per la capacità di tenere la linea con fermezza ma senza arroganza.
Merz ha mostrato un modo di governare molto diverso rispetto ai suoi predecessori, più pragmatico, più esposto e meno vincolato ai rituali classici della politica tedesca, e questo ha fatto breccia in un elettorato che sembra sempre più in cerca di chiarezza, mentre l’AfD continua a muoversi su un crinale pericoloso, raccogliendo consensi nonostante, o forse proprio grazie al fatto di essere al centro di un acceso dibattito politico e istituzionale.
Sondaggi in Germania: dibattito sul divieto all’AfD spacca il Parlamento, la SPD spinge, Merz frena e la tensione cresce
Oltre ai sondaggi, è il confronto interno al Bundestag a far capire quanto la questione AfD sia diventata un punto nevralgico del dibattito tedesco, perché mentre la SPD attraverso il capogruppo Miersch si dice pronta ad aprire una procedura per mettere fuori legge il partito, cercando un’intesa con la CDU-CSU, i vertici dell’Unione cristiano-democratica frenano drasticamente, con Merz e Dobrindt che mettono in guardia su un possibile effetto boomerang.
L’argomento è molto sentito e non è solo politico ma anche culturale e giuridico, perché l’AfD è stata da poco classificata come organizzazione di estrema destra confermata dall’Ufficio federale per la protezione della Costituzione, ma la Corte costituzionale dovrebbe decidere se ci sono davvero gli estremi per arrivare a un divieto legale, e qui entrano in gioco considerazioni delicate sul funzionamento della democrazia tedesca, che da un lato vuole proteggersi dall’ultradestra ma dall’altro teme di concederle maggiore visibilità rendendola martire del sistema.
Dobrindt ha parlato senza mezzi termini dichiarando che un tentativo di vietare l’AfD sarebbe solo benzina sul fuoco e Merz ha ribadito lo stesso approccio, rimarcando che l’unico modo per contrastare l’AfD è sul piano politico e non giuridico, mentre dalla parte opposta SPD, Verdi e Linke continuano a premere sull’acceleratore, forti anche di un primo sostegno numerico in Parlamento dove, secondo una ricerca citata dalla FAZ, 124 parlamentari si dicono già favorevoli al divieto e altri 13 potrebbero esserlo a certe condizioni.
Ma dentro la CDU-CSU il fronte contrario per ora tiene, anche se non è detto che sia destinato a restare compatto, perché lo stesso Steffen Bilger, direttore parlamentare del gruppo, ha ammesso che se l’AfD dovesse ancor più radicalizzarsi, la linea del partito potrebbe cambiare, e tutto lascia pensare che questo confronto sarà uno dei terreni più esplosivi del prossimo autunno politico.
Sondaggi in Germania: i dazi sulle auto tedesche al centro dei rapporti tra Berlino e Washington
Il ritorno di Merz al centro del discorso pubblico non si vede solo nei sondaggi ma si misura anche nel modo in cui è riuscito a riportare l’economia industriale al centro della scena politica, un tema che da troppo tempo era rimasto ai margini e che oggi torna prepotentemente grazie al viaggio del cancelliere a Washington dove, con sorprendente concretezza, ha proposto una soluzione bilaterale sulla questione dei dazi: niente più tariffe sulle auto tedesche esportate negli Stati Uniti in cambio di un’apertura europea sulle auto americane in ingresso.
Un’idea semplice che parla a tutto il tessuto industriale tedesco, soprattutto al comparto automobilistico che negli ultimi anni ha visto aumentare le pressioni esterne tra transizione ecologica, crisi delle forniture e concorrenza cinese, e che ora guarda con interesse a una soluzione negoziata che possa garantire continuità produttiva e commerciale, anche perché le grandi case come BMW, Mercedes e Volkswagen sembrano pronte a sostenere l’iniziativa e ad aprire un dialogo costruttivo con Washington.
Merz ha già annunciato che discuterà la proposta con la Commissione Europea, visto che la competenza formale sui negoziati commerciali è di Bruxelles, ma nel frattempo è riuscito a dare l’impressione di un governo che si muove, che agisce, che prova a risolvere problemi concreti, e questo atteggiamento si riflette anche nel suo crescente indice di gradimento, perché una parte in espansione dell’elettorato sembra apprezzare il ritorno a una politica meno ideologica e più concreta.
Il futuro resta incerto ma una cosa è chiara: la Germania sta vivendo una fase di passaggio in cui vecchi equilibri si stanno sgretolando e nuove dinamiche si stanno imponendo, e al centro di tutto questo c’è oggi un cancelliere che, nel bene o nel male, sta già lasciando il segno.