Mentre il Portogallo si prepara alle terze elezioni legislative in tre anni – previste per il 18 maggio – i sondaggi dipingono un panorama politico sempre più incerto e frammentato: secondo l’ultimo rilevamento ICS/ISCTE, l’Alleanza Democratica (AD-EPP) di centrodestra, guidata da Luís Montenegro, scivola al 33% (-5 punti rispetto a marzo), tallonata dai socialisti (PS-S&D) al 29% (+1) e a sorpresa, l’ultradestra nazionalista di Chega (CH-PfE) balza al 21% (+4), consolidandosi come terza forza.
Dai sondaggi, gli altri partiti – Liberali (IL-RE) al 4%, Blocco di Sinistra (BE) e Comunisti (CDU) al 2% – restano marginali, ma un dato è chiaro: nessuna coalizione raggiunge la maggioranza, e il Paese rischia di rimanere ingabbiato in un’instabilità cronica, come accaduto dal 2022.
La caduta del governo Montenegro, travolto dallo scandalo Spinumviva – un’azienda di consulenza legata al Premier accusata di conflitti d’interesse – ha aperto un vuoto che i sondaggi non colmano: “Siamo in un loop: elezioni, governi deboli, nuove elezioni” è la sensazione generalizzata di analisti ed elettori.
La crescita di Chega – erede dei movimenti sovranisti europei – riflette il malcontento verso l’establishment: il partito, guidato da André Ventura, cavalca temi come immigrazione e corruzione, attirando elettori delusi sia dalla destra moderata che dalla sinistra.
Ma per formare un esecutivo, servirebbe un’alleanza impensabile: AD e PS si escludono a vicenda, mentre Chega rimane un partner scomodo per entrambi.
Sondaggi e scenari: perché il Portogallo non trova una via d’uscita
Il circolo vizioso inizia nel 2022, quando il socialista António Costa – ora presidente del Consiglio Ue – perse la maggioranza a causa di tensioni interne; da allora, i sondaggi hanno registrato un’erosione costante dei partiti tradizionali a vantaggio di formazioni estreme o anti-sistema.
Chega, fondato nel 2019, è passato dal 7% al 21% in tre anni, capitalizzando la rabbia per la crisi abitativa e la stagnazione economica: sembra che il Portogallo non sia più il Paese della saudade, ma della frustrazione nel suo senso più stretto, sentimento chiaramente percepibile dai sondaggi.
La sfida del 18 maggio non è solo politica, ma culturale: il Portogallo – storicamente refrattario agli estremismi – deve fare i conti con una destra radicale che normalizza discorsi divisivi e intanto, l’Europa osserva con apprensione: Lisbona è considerata un termometro della tenuta dei sistemi iberici.
Se i sondaggi verranno confermati, l’unica via d’uscita percorribile sarebbe un governo di unità nazionale, opzione finora respinta da tutti. Il Portogallo appare sempre di più come un’auto senza freni in discesa libera, resta solo da vedere chi – tra AD, PS e Chega – accetterà di sterzare.