Sondaggi e scenario politico si incrociano con crescente tensione in Turchia, dove la politica interna viene ormai letta alla luce dei riflessi di un conflitto che non riguarda direttamente il Paese ma che lo sfiora da vicino come un’onda lunga pronta a travolgere tutto.
Secondo l’ultimo rilevamento TÜSİAR su un campione di oltre 3.100 persone, il Partito Repubblicano del Popolo (CHP), all’opposizione ma guidato con piglio deciso da Özgür Özel, si attesta al 34% con un balzo di quattro punti percentuali rispetto alla precedente rilevazione di febbraio, mentre il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) del presidente Erdogan cala al 30%, segnando una perdita di due punti, un dato che non passa inosservato proprio mentre la leadership turca è chiamata a gestire una delle crisi regionali più esplosive degli ultimi anni.
Il consenso che si sposta, anche se lentamente, riflette un Paese stanco attraversato da tensioni economiche persistenti ma anche da una percezione di vulnerabilità geopolitica e la vicinanza con l’Iran e i rischi legati alla guerra con Israele, in particolare il pericolo di contaminazioni radiologiche sul territorio turco in caso di attacco a impianti nucleari, hanno riacceso un senso di incertezza e apprensione.
Erdogan, consapevole del momento, ha rafforzato la diplomazia multilivello parlando direttamente con i leader di Stati Uniti, Iran, Arabia Saudita, Egitto e Pakistan, rimarcando l’urgenza di fermare l’escalation, il rischio di una guerra devastante, il pericolo di crisi umanitarie e nuove ondate migratorie che potrebbero cambiare ancora una volta gli equilibri interni; nel frattempo, il panorama dei partiti turchi si ridisegna in modo sottile ma costante con il Partito DEM (filo-curdo, membro S&D) che perde un punto scendendo all’8%, la stessa percentuale del MHP, alleato tradizionale dell’AKP, anch’esso in calo.
Cresce leggermente il partito nazionalista e liberale İYİ, che sale al 6%, mentre avanzano anche formazioni minori come YRP e AP che, pur restando marginali a livello numerico, iniziano a ritagliarsi uno spazio nel dibattito politico portando temi nuovi e intercettando parte del disagio giovanile ed economico. In questo contesto, Erdogan si trova a mediare su due fronti; placare il timore dell’opinione pubblica interna e confermare il proprio ruolo di mediatore regionale mentre il consenso sembra cominciare a oscillare in modo più visibile rispetto al passato.
Sondaggi Turchia: Erdogan sotto pressione, ma resta al centro del gioco diplomatico tra Iran e Israele
Sondaggi e diplomazia si intrecciano in un momento in cui la leadership turca si muove con cautela su un equilibrio fragile tra responsabilità interne e richieste esterne sempre più complesse: la leggera flessione dell’AKP nei numeri del sondaggio TÜSİAR non è clamorosa ma indica un cambiamento potenziale, perché avviene mentre Erdogan sta cercando di tenere insieme una coalizione politica nazionale e una posizione geopolitica regionale sempre più esposta.
Le sue telefonate, le riunioni convocate in piena notte, le dichiarazioni pubbliche che chiedono di proseguire i negoziati sul nucleare iraniano sono parte di un tentativo di contenere l’incendio in Medio Oriente e di tenere la Turchia fuori da una spirale che altrimenti potrebbe travolgere anche Ankara; il presidente turco ha ribadito ai leader mondiali – tra cui Donald Trump, Masoud Pezeshkian, Mohammed Bin Salman e al-Sisi – che la soluzione passa dai tavoli diplomatici, non dai raid militari.
Nella riunione del Consiglio dei Ministri, presieduta personalmente da Erdogan, si è discusso anche della possibilità che un’escalation porti a un aumento di flussi migratori irregolari verso il confine orientale ma il governo ha smentito con decisione le voci sull’arrivo imminente di ondate di profughi iraniani; allo stesso tempo, i cittadini iraniani già presenti sul territorio hanno iniziato a lasciare il Paese per tornare verso le loro famiglie, creando una corsa ai mezzi di trasporto terrestri in mancanza di voli disponibili e spingendo le compagnie aeree e le aziende di autobus a organizzare corse straordinarie.
Intanto i sondaggi raccontano anche una stanchezza da parte della base storica del partito di governo, sempre più disorientata tra inflazione, instabilità e timori geopolitici e il tema della sicurezza interna resta centrale e non solo per quanto riguarda i rapporti con l’estero; durante il Consiglio dei Ministri, è stato affrontato anche il processo di smantellamento del PKK, considerato una priorità per rafforzare il consenso interno.
Ma lo spazio politico si è fatto più stretto e l’opposizione ha iniziato a occupare un terreno prima lasciato scoperto – quello della proposta, della costruzione di alternative credibili, della rassicurazione senza populismi – e se Erdogan appare ancora centrale, più per peso specifico che per slancio popolare, il contesto generale segnala una fase delicata dove anche piccoli movimenti nei sondaggi possono preannunciare equilibri più fragili.
Sondaggi Turchia: il peso della crisi Iran-Israele sposta il clima politico interno, cresce la distanza tra elettori e governo
Sondaggi alla mano, la Turchia si trova a fare i conti con una trasformazione silenziosa ma potente e mentre Erdogan cerca di guidare il Paese con fermezza, i numeri suggeriscono un lento ma costante scivolamento dell’elettorato verso nuove scelte, forse non ancora affermate ma sempre più indicative di un disagio che cresce; il CHP è in testa, per la prima volta in maniera chiara dopo mesi, e se l’AKP resta su livelli alti il margine si assottiglia proprio mentre la scena internazionale si accende e le immagini degli scontri tra Israele e Iran rimbalzano sui canali turchi rafforzando un senso di inquietudine che va oltre le preferenze politiche.
Il presidente turco ha fatto sapere di considerare “inaccettabili” gli attacchi israeliani, li ha definiti una minaccia diretta alla sicurezza regionale e ha più volte rimarcato che il silenzio internazionale sulla strage palestinese ha acuito l’aggressività di Israele e nel corso dei suoi colloqui con i leader regionali, Erdogan ha avvertito che una nuova guerra potrebbe spingere milioni di persone a fuggire, creando una pressione umanitaria e politica enorme non solo per la Turchia ma per tutta l’area.
Il timore più grande resta quello del nucleare perché se i raid israeliani dovessero colpire impianti sensibili in Iran, la ricaduta radioattiva potrebbe raggiungere anche il suolo turco con conseguenze difficili da prevedere; nella narrazione politica nazionale tutto questo si traduce in una maggiore richiesta di protezione, stabilità e risposte concrete.
L’opposizione cerca di cavalcare questa domanda con proposte pragmatiche, mentre l’AKP prova a giocarsi ancora la carta dell’esperienza, dell’autorità e della mediazione internazionale, ma nei sondaggi la linea di rottura comincia a vedersi, non una frattura – o meglio, non ancora – ma un confine che separa sempre più chi si riconosce ancora nel governo e chi invece sente che servirebbe un passo diverso, e se oggi i numeri non parlano di sorpassi clamorosi, parlano però di un Paese che comincia a pensare con meno timore a cambiare rotta.