I sondaggi aggiornati al 4 aprile 2025 mostrano una situazione in fermento per la politica turca, in un clima generale che alterna tensioni interne e visibilità diplomatica all’estero con il Cumhuriyet Halk Partisi (CHP) – principale forza d’opposizione di centro-sinistra affiliata al gruppo S&D – che si trova ancora in testa con il 38% dei consensi, pur perdendo due punti rispetto all’ultima rilevazione mentre il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) – guidato da Recep Tayyip Erdogan – torna a salire, registrando un +6% che lo porta al 35%, segnale di un possibile riavvicinamento da parte dell’elettorato conservatore.
Sondaggi come questo evidenziano uno scenario polarizzato, dove due grandi blocchi si contendono la guida del Paese mentre le formazioni minori restano ai margini: DEM all’8%, MHP in calo al 6%, ZP fermo al 4%, İYİ al 3% e una sfilza di partiti più piccoli tra il 2 e l’1% ma è necessario leggere questi numeri alla luce dello scenario turco, dove la politica si muove in un contesto altamente fluido con i numeri che non raccontano solo percentuali, ma riflettono crisi, leadership e aspettative.
Il fatto che Erdogan riesca a recuperare terreno proprio mentre gioca un ruolo attivo nei negoziati tra Russia e Ucraina, ospitando colloqui ad Istanbul, dimostra quanto il piano internazionale sia spesso utilizzato in chiave interna e in molte aree (soprattutto nell’Anatolia interna e nelle periferie urbane) questo ritorno di immagine rafforza l’AKP; in altre zone, come le grandi città e la costa egea, l’opposizione continua a detenere la maggioranza del consenso.
Sondaggi, Imamoglu avanti nelle presidenziali: Erdogan in calo netto, ma ancora competitivo
I sondaggi presidenziali aggiornati alla stessa data rafforzano il vantaggio del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, oggi simbolo dell’opposizione: il leader del CHP è accreditato del 49% delle preferenze (+4 rispetto al voto del 2023) mentre Erdogan scende al 39%, in calo netto di ben 11 punti – un dato che segnala un indebolimento evidente, anche se non ancora definitivo – e in uno scenario a più candidati – il quadro si completa con Fatih Erbakan (YRP) al 5%, il candidato DEM al 4% e Babacan al 2%, valori che – anche se marginali – potrebbero fare la differenza in un eventuale secondo turno.
I sondaggi relativi al ballottaggio danno Imamoglu vincente al 56%, contro un Erdogan che si ferma al 44% ma che recupera tre punti rispetto a marzo; si può osservare come queste oscillazioni riflettano due Turchie che convivono con fatica, una urbana e progressista che spinge per una svolta democratica e una più tradizionale che – seppur meno entusiasta – resta ancorata alla figura di Erdogan.
Dati come questi sono seguiti anche fuori dal Paese, in Romania e nei Balcani occidentali, dove la stabilità della Turchia è ritenuta centrale per gli equilibri regionali e va notato come la rimonta dell’AKP non coincida con un analogo recupero personale di Erdogan in quanto la sua immagine resta forte in politica estera ma più fragile sul piano interno, anche a causa delle proteste esplose dopo l’arresto di Imamoglu (fatto che ha segnato un punto di rottura percepito da molti come autoritario) m nonostante ciò, il presidente turco resta una figura dominante, capace di muovere consensi e tensioni con una sola dichiarazione e i sondaggi lo confermano ancora in partita.
Sondaggi, Erdogan in difficoltà tra crisi interna e diplomazia globale: la strategia del doppio binario
I sondaggi che registrano una discesa nei consensi per Erdogan coincidono con un periodo di forte esposizione mediatica all’estero e proprio mentre il presidente turco si propone come mediatore nei colloqui tra Russia e Ucraina a Istanbul, i dati interni raccontano di una leadership sotto pressione: la strategia del doppio binario – visibilità internazionale per compensare la crisi politica domestica – sembra chiara anche in queste rilevazioni, dove il presidente cala nelle intenzioni di voto ma tiene grazie alla sua centralità nei dossier regionali.
I dati – interpretati secondo questa prospettiva – fanno emergere un quadro ambiguo: un leader che, pur contestato, riesce ancora a dettare i tempi e il tono del dibattito ma bisogna guardare oltre i numeri, cogliendo le dinamiche dietro le percentuali secondo le quali la popolarità personale di Imamoglu cresce anche in virtù del suo ruolo di “vittima” politica, mentre l’AKP punta a rafforzare il suo zoccolo duro giocando la carta dell’ordine e della stabilità.
I sondaggi politici, dunque, diventano uno strumento non solo elettorale ma anche narrativo, raccontando una battaglia per il controllo del significato politico in un Paese come la Turchia, crocevia tra Europa e Medio Oriente; Erdogan – anche se in discesa nei sondaggi – continua a occupare un ruolo centrale anche grazie alla sua rete di alleanze regionali e al sostegno diplomatico, compresi i rapporti privilegiati con Donald Trump, tornato alla Casa Bianca e pronto a sostenerlo nella mediazione internazionale e se a livello interno la società civile protesta, fuori dai confini nazionali resta un interlocutore imprescindibile e proprio questo doppio registro potrebbe essere la sua carta più forte nei prossimi mesi.