Sondaggi Turchia 2025: CHP al 58%, Erdogan al 42%. Il presidente tenta di recuperare terreno con colloqui Russia-Ucraina
I sondaggi politici in Turchia – diffusi ad aprile 2025 dall’istituto HBS – configurano uno scenario critico per il presidente Recep Tayyip Erdogan e la sua coalizione di governo, l’alleanza AKP-MHP-YRP – oggi al 28% – che perde terreno rispetto al Partito Popolare Repubblicano (CHP) che – con il 34% – guida l’opposizione sostenuta anche dal Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia (DEM, 9%).
In uno scenario di ballottaggio presidenziale, nei sondaggi i candidati CHP Ekrem Imamoglu e Mansur Yavaş supererebbero Erdogan con il 58% e il 59% dei voti segnando un calo di 8 punti per l’attuale presidente rispetto alle elezioni del 2023: questo quadro (emerso da un campione di 3.200 intervistati) riflette un malessere crescente verso le politiche economiche e la gestione delle libertà civili mentre Erdogan tenta di riposizionarsi come artefice di pace globale: il suo annuncio di ospitare a Istanbul, dal 15 maggio, nuovi colloqui diretti tra Russia e Ucraina (i primi dal marzo 2022) punta a rilanciare la sua immagine di leader internazionale, proponendo la Turchia come ponte tra Est e Ovest.
Un tentativo strategico per distogliere l’attenzione dalle tensioni interne dove l’alleanza di governo (Cumhur İttifakı) fatica a contenere l’ascesa di partiti come il nazionalista Zafer (ZP, 5%) e l’islamista YRP (5%), mentre l’opposizione (Millet İttifakı) rafforza il fronte pro-Europa.
Sondaggi e strategie: come Erdogan gioca la carta della pace per riconquistare consenso
Mentre i sondaggi ritraggono un’opinione pubblica sempre più polarizzata, Erdogan scommette sulla diplomazia: la mediazione per il conflitto ucraino – che nel 2022 portò all’accordo sul grano nel Mar Nero – diventa oggi un’occasione per riaffermare il ruolo della Turchia nella NATO e nel Mediterraneo orientale, bilanciando i rapporti con Mosca – da cui Ankara importa il 45% del gas – e con l’Occidente che chiede maggiore sostegno a Kiev.
Questo calcolo politico – però – si scontra con un elettorato preoccupato dall’inflazione al 68% e dalle tensioni con le minoranze curde, fattori che favoriscono il successo del CHP, guidato da Özgür Özel, e del DEM, erede del filo-curdo HDP; la coalizione di Erdogan – pur mantenendo il controllo di istituzioni decisive – deve fronteggiare la frammentazione dell’elettorato nazionalista, diviso tra MHP (8%), ZP e YRP mentre l’opposizione sfrutta le alleanze trasversali, unendo centristi, socialdemocratici e ambientalisti.
In questo contesto, la ripresa dei colloqui di Istanbul – presentati come un passo verso la pace permanente – rischia di apparire più come una mossa propagandistica che come un reale progresso dato l’irrigidimento di Mosca dopo le recenti conquiste nel Donbass ma per Erdogan – alle prese con il peggior risultato elettorale dal 2002 – ogni iniziativa finalizzata ad accrescere la sua visibilità internazionale è un tentativo per riconquistare quel consenso che i sondaggi segnalano in declino.