Spesso ci si sente sopraffatti, da ciò che ci circonda ma soprattutto da un passato che non abbiamo dimenticato. Chi ha vissuto tutto questo lo sa benissimo, che le frasi dette possono diventare coltelli, e che basterebbe guardarsi negli occhi per prendersi a pugni con la mente. Siamo pieni di ferite, a volte aperte altre chiuse, ma che rappresentano tutto quello che abbiamo vissuto da bambini. La nostra infanzia ha un peso non indifferente, ed è importante riconoscere i modi in cui gli altri si sono interfacciati con noi. Non sempre parole dette, ma anche gesti nascosti, sguardi taglienti, il modo in cui ci hanno fatto sentire.
Tutte le parole hanno un peso, ma ci sono alcune che pesano più di altre e che non dimentichiamo, semplicemente perché ci hanno portato ad essere quello che siamo oggi.
“Non voglio dare fastidio” e “Tanto poi finisce sempre male”
Chi ha detto, almeno una volta nella vita, la frase “Non voglio dare fastidio” vuol dire che da bambino è stato infelice, o anche semplicemente incompreso. I piccoli di ieri – adulti di oggi – hanno interiorizzato che l’amore arriva solo se non si disturba, se si è bravi e silenziosi. Non si tratta di una forma di educazione, ma di sopravvivenza emotiva. Secondo le neuroscienze, l’amidgala di chi ha ricevuto questi segnali tende ad essere iperattiva, e si attiva quindi in risposta alla paura di rigetto anche in contesti neutri. La parte più importante da riconoscere è il diritto di occupare uno spazio nel mondo, di sentirsi importante per qualcuno ma soprattutto per sé stessi.

“Tanto poi finisce sempre male” è invece un campanello d’allarme, perché dietro queste parole si nasconde un’infanzia segnata profondamente dalla disillusione con promesse non mantenute, adulti incostanti, esperienze di abbandono emotivo. Si prevede perciò il peggio per evitare di soffrire ancora. La psicanalisi dice che questo è il risultato di un oggetto interno deludente e che, per uscire da questo concetto, è importante lavorare sul valore della fiducia, iniziando così a distinguere il passato dal presente.
“Devo meritarmi l’amore”
Chi non sogna l’amore? Lo desiderano tutti perché sentirsi amati è tra i desideri più forti dell’uomo. Chi non si sente amabile, ha invece imparato da piccolo che l’amore va guadagnato. Forse si è stati elogiati solo per i risultati, o si è assistito a un amore finito al compimento di un errore. Questo è semplicemente il risultato dell’identificazione con l’ideale dell’Io genitoriale: “Per essere degno d’amore, devo diventare quello che tu vuoi che io sia”. Cosa bisogna fare? Dare spazio a chi ti ama anche quando ci si sente fragili, semplicemente perché l’amore vero non ha mai avuto requisiti.
“Mi vergogno a dire come sto”
Una frase, questa, che è il riflesso di un ambiente in cui i sentimenti non erano accolti. Qualcuno ti ha detto di non piangere, che soffrire significa essere fragili, che la debolezza è un errore. E tu hai sempre voluto fare il forte, imparando che le emozioni sono un problema. La psicanalisi dice che questo approccio rappresenta la formazione di un falso sé e di un ambiente che sacrifica la verità emotiva per ottenere accettazione. Dai invece voce a quello che senti, scrivi un diario, parla con qualcuno, riconosci le tue emozioni.
“Sono troppo sensibile”
La sensibilità viene vista come un peso se si cresce in ambienti emotivamente aridi, ed è anche un problema. Una sensibilità che in realtà è diventata negli anni la tua forma di intelligenza, il modo in cui percepivi le variazioni emotive e anche l’unico modo per sopravvivere.