I telefoni squillano, ma nessuno risponde. Davanti al luogo della sparatoria, nel centro di Uppsala, in Svezia, un gruppo di uomini di origine africana aspetta in silenzio. Non sanno se tra le tre vittime ci sia anche quel ragazzo di sedici anni che, solo poche ore prima, era uscito per andare a tagliarsi i capelli. Da allora, di lui nessuna notizia. “La polizia non ci dice nulla”, ripete il padre al telefono. Un uomo più anziano, collega del ragazzo, aggiunge: “Da quando è entrato dal barbiere, non abbiamo più avuto sue notizie”.
È successo in pieno centro, a pochi passi da piazza Vaksala, vicino alla stazione. Una zona definita “tranquilla”, “sicura”, abitata da famiglie benestanti e studenti universitari. Eppure, ieri pomeriggio alle 17, l’ora in cui la città si riempie di gente di ritorno dal lavoro, si sono sentiti cinque o sei colpi di arma da fuoco. Tre persone sono rimaste a terra. La polizia è intervenuta, le ambulanze hanno portato via i feriti, i treni da e per Uppsala si sono fermati per mezz’ora. Intanto, è iniziata la caccia a un uomo in fuga su un monopattino elettrico, con volto coperto e abiti scuri.
Siamo alla vigilia della Valborgsmässoafton, la notte di Valpurga, una delle feste più sentite in Svezia. A Uppsala, epicentro della celebrazione, lo scorso anno si sono radunate 120mila persone. La primavera arriva con fuochi, brindisi, cori, e prende il nome da una santa inglese dell’VIII secolo. Ma quest’anno, la luce della festa è oscurata dal sangue. Perché la violenza ha colpito ancora. Ancora una volta nel cuore del Paese. Ancora una volta forse per una guerra tra gang.
Secondo quanto riportato dalla tv pubblica svedese SVT, una delle vittime era coinvolta in un’indagine legata a un attentato pianificato contro un parente di Ismail Abdo, leader della gang Rumba e ricercato internazionale. Non è chiaro se si trattasse del vero bersaglio. Forse è stato un errore, forse no. La certezza è una sola: la violenza ha varcato ogni confine.
La Svezia è diventata, da qualche anno, teatro di una guerra sotterranea combattuta da gang giovanili. Solo nel 2024 si contano 296 sparatorie: una al giorno. Non solo nelle periferie degradate, ma anche nei centri cittadini, nei paesi tranquilli, nei quartieri residenziali. Un’intera generazione di giovani – spesso nati in Svezia da famiglie immigrate – cresce dentro un vuoto. Senza identità, senza radici, senza appartenenza. Né svedesi né arabi, né africani né europei. La gang diventa casa, tribù, rifugio. La pistola, uno strumento per contare qualcosa. Per esistere.
Ma c’è di più. C’è una crisi spirituale profonda che attraversa questi ragazzi. Non è solo criminalità: è il grido di una generazione senza senso. Senza Dio. Senza padri. Senza qualcuno che dica loro: “Tu sei importante”. Il welfare, le scuole, le politiche d’integrazione: tutto questo è importante. Ma non basta. Perché i giovani delle gang non sono solo feriti sociali. Sono orfani interiori, che cercano potere per dimenticare la propria impotenza, rispetto per coprire la vergogna, denaro per riempire un’assenza di amore.
In un mondo dove tutto si compra e si misura, dove i legami si sciolgono e le parole non bastano più, uccidere diventa un linguaggio. Una dichiarazione d’identità. L’assurda preghiera di chi non sa più a chi rivolgersi. Le loro vite bruciano in fretta, in un nichilismo che divora tutto: l’altro, se stessi, il futuro.
La notte di Valpurga, festa contro il male, ci ricorda che non siamo disarmati. Che la luce può ancora vincere, se la società – tutta, non solo la polizia – trova il coraggio di rispondere al male non solo con la forza, ma con il senso. Educare di nuovo al valore della vita. Costruire comunità vere. Ridare ai giovani una spiritualità viva, non moralista né ideologica, ma capace di custodire la domanda più profonda: “Chi sono io?”. Senza questa risposta, nessuna legge sarà sufficiente.
Oggi, a Uppsala, tre famiglie piangono. Domani, se continueremo a ignorare le domande che bruciano nel cuore dei nostri figli, potrebbero essere molte di più. E i telefoni, come sempre, continueranno a squillare nel vuoto.
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