L'uso disinvolto e pervasivo dell'intelligenza artificiale può portare a delle conseguenze che forse non sono ben ponderate
Alka Seltzer è sconcertato dall’uso disinvolto dell’intelligenza artificiale che osserva negli uffici, nei luoghi educativi, nella vita di tutti i giorni. Da un trarsi d’impaccio totalmente passivo, privo di impegno, di studio, di amor proprio professionale.
Il capo chiede urgentemente una relazione o una presentazione? Nessun problema: si strofina la nuova lampada di Aladino e in pochi secondi il desiderio è soddisfatto. Stupisce la cieca fiducia nel prodotto finale, considerato affidabile a prescindere. Pochi verificano dati, validità dei concetti, attendibilità complessiva dell’output.
E così, a poco a poco, assistiamo a una progressiva perdita di valore di elementi fondamentali come la professionalità, l’esperienza, la memoria, le capacità di scrittura, analisi e sintesi che sono invece indispensabili per governare consapevolmente l’uso dell’IA e non lasciare a lei il pieno controllo.
Giorni fa Alka Seltzer osservava un quadro di Claude Monet e diceva a se stesso: l’intelligenza artificiale può sicuramente copiarlo perché attinge da un’enorme rete che colleziona materiali esistenti, ma non è in grado di inventare l’impressionismo francese, lo stile di cui il pittore è stato tra i fondatori. Del resto allo stato attuale l’IA non ha coscienza di sé…
È dunque evidente che un uso intensivo dell’IA già nel breve termine, vista la pervasività del digitale, può sedimentare tra le persone una sorta di omologazione culturale, fondata su tesi, linguaggi, stilemi dominanti, con effetti tutti da valutare sulla vita sociale, sulla scala di valori, sull’economia, sulla politica e – almeno secondo i più pessimisti – sulla stessa tenuta democratica di una nazione.
“Il pensiero”, ha scritto la politologa francese Asma Mhalla, “deve espandersi, altrimenti non riusciremo a comprendere la nostra epoca. La tecnologia può essere sinonimo di libertà, a condizione che sia governata come tale, senza trasformarla in un mostro totalizzante, a condizione di non vederla come un fine, ma una strada che porta a qualcosa di più grande e di più bello: conoscenza, sapere, progresso per tutti”.
Ad Alka pare che il ventesimo secolo non abbia saputo preparare il ventunesimo. Osserva fasce crescenti della popolazione rifugiarsi acriticamente nel “pensiero magico tecnologico” in cerca di protezione (dal rischio di obsolescenza professionale, di emarginazione sociale, ecc.), senza rendersi conto che la “tecnica” non promuovereun orizzonte di senso alla nostra esistenza.
Nel fragore, nella confusione, nella moltiplicazione – spesso insensata – di contenuti e messaggi, nella scelta di intrattenere invece di informare, nella volontà di esibirsi invece di alimentare con la fondamentale competenza la vita sociale, si trovano tante cause dell’inverno dello spirito che oggi vediamo tutti pervadere il mondo.
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