È passata un po’ inosservata l’ascesa di Mark Carney a Premier del Canada, Paese che confina per 8.800 chilometri con gli Stati Uniti. Presieduti ora da Donald Trump, che ha subito bombardato il Canada di dazi, ventilando addirittura l’annessione di Ottawa negli States.
L’onda d’urto si è rivelata troppo forte per la vecchia leadership familistica dei Trudeau (Justin ha governato Ottawa negli ultimi dieci anni, il padre Pierre lo aveva fatto dal 1968 al 1984). Ora al più arcobaleno dei leader del G7 succede un personaggio della stessa fede liberale, ma dal profilo per molti versi opposto. E non così lontano da quello di Mario Draghi.
Carney è nato in Canada, ma ha trascorso molti anni delle sua vita fuori: negli Usa e in Gran Bretagna. Ha studiato economia ad Harvard e poi ad Oxford e si è fatto le ossa alla Goldman Sachs, nella Wall Street ruggente di fine secolo. Poi è entrato alla Bank of Canada, fino a diventarne governatore nel 2008, poco prima del crack Lehman.
Se per Draghi la guida della Banca d’Italia è stata il trampolino per la Bce, Carney è balzato nel 2013 – primo non britannico – alla guida della Bank of England: la banca centrale della City di Londra, la più antica del mondo, “sorella maggiore” delle banche centrali del Commonwealth post-imperiale (il monarca inglese è ancora nominalmente capo di Stato anche in Canada).
Carney – che era stato chiamato dal Premier conservatore David Cameron – ha lasciato la BoE nel marzo 2020, all’inizio della tempesta-Covid, quando la sterlina e l’economia inglese avevano già subire il terremoto-Brexit (che il banchiere centrale avrebbe evitato). Come e forse più di Draghi, Carney vanta un curriculum di liberal-globalista ortodosso: di “Davos man”, non da ultimo convinto sostenitore della transizione verde. Pure in questo il suo identikit appare antitetico a quello della nuova leadership trumpiana negli Usa.
Non è quindi affatto escluso che sia stato Carney a suggerire la prima “salva” controffensiva del Canada contro i dazi americani: la minaccia di sospendere le forniture elettriche dall’Ontario al vicino stato di New York, a cavallo del più che simbolico confine del Niagara. Ma non sarebbe sorprendente se il nuovo Premier di Ottawa emergesse come leader di una resistenza/opposizione sovranazionale al ciclone Trump: quella di un oligopolio finanziario globale già colpito dagli ultimi scivoloni delle Borse. E non soltanto.
Nella foto di gruppo dell’Inauguration Day, due mesi fa, sono entrati compatti tutti i tycoon di Big Tech, non invece un solo banchiere di Wall Street. Non un solo Ceo di quella grande finanza con cui il vecchio immobiliarista di Manhattan ha avuto rapporti quotidiani ma talora conflittuali.
All’inizio di un nuovo quadriennio Maga non c’era al suo fianco un solo “master of universe” del quarantennio thatcherian/reaganiano – ma poi clintonian/obamiano – inaugurato dal big bang del London Stock Exchange. Ora i nuovi “cosmocrati” pretendono di esserlo i patron del digitale: nuovi “barbari alle porte” anche per un sistema finanziario tradizionale finora egemone.
Carney avrà probabilmente fra i suoi compiti anche quello di negoziare un cessate il fuoco che potrebbe rivelarsi più difficile di quello fra Russia e Ucraina (che avrà fra l’altro sul tavolo anche le decine di miliardi di patrimoni russi congelati fra Londra e New York).
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