Caro direttore,
tutti noi, se interpellati al riguardo, siamo certi di saper rispondere alla domanda relativa alla definizione di terrorista. Cos’è un terrorista? Chi è un terrorista? Cosa persegue un terrorista? Partiamo dalla definizione che di quel termine offre il dizionario Zanichelli: “Concezione e pratica di lotta politica e militare che fa uso della violenza (sotto forma di omicidi, attentati, rapimenti, ecc..) per sconvolgere gli assetti politici e istituzionali esistenti o compiere atti di guerra”. Insomma, se il nostro immaginario collettivo al pronunciare quella parola ha il riflesso pavloviano di pensare alle Brigate rosse o all’Eta o all’Ira o alla Raf, il concetto in realtà è più ampio. E coinvolge, de facto, Stati e governi. Destabilizzare in maniera diretta o via proxy un Paese o un settore economico o una minoranza etnica, al fine di ottenere un tornaconto da quel caos o quel semplice mutamento degli equilibri, forse non ricade appieno nella definizione dello Zanichelli?
L’approccio verso la situazione in Ucraina sconta questo handicap iniziale. E non a caso, i sostenitori della guerra e le cheerleaders della Nato utilizzano sempre lo stesso argomento, soprattutto quando vanno in difficoltà: occorre sempre ricordare chi è l’invaso e chi l’invasore. A questo punto, però, perché nessuno ha chiesto una Norimberga per i presidenti Usa che hanno dato il via libera alle operazioni militari e di invasione in Iraq e Afghanistan? La prima garantita da una colossale operazione di disinformazione con la fialetta di Colin Powell e la panzana della armi di distruzione di massa, e la seconda da un clamoroso errore di valutazione, poiché a fronte di responsabilità acclarate dell’alleato saudita, l’America decise di purgare l’oltraggio dell’11 settembre attaccando Kabul. E quei talebani che aveva finanziato e coccolato fino al giorno prima in chiave anti-sovietica. E signori, Guantanamo e Abu Ghraib parlano chiaro rispetto alle atrocità su civili inermi da parte dell’esercito Usa, senza scomodare le delicatezze del Vietnam. E a livello di civili massacrati, se sono stati gli Usa ha inventare il termine danni collaterali, un motivo ci sarà.
Eppure, mai a nessuno è venuto in mente di chiamare l’inquilino di turno della Casa Bianca macellaio, né di prospettarne l’uscita di casa in manette per terminare di fronte al Tribunale dell’Aja. Ho evitato di citare i 72 giorni di bombe sulla Serbia perché ne ho già parlato nei giorni scorsi, dimostrando plasticamente come anche allora fu l’uso strumentale di una presunta strage a garantire l’alibi per l’attacco al duo Albright-Holbrooke.
Chiaramente, gli intellettuali con l’elmetto hanno la risposta pronta: quelli della Nato son errori in buona fede, quasi a fin di bene, poiché commessi nell’ambito di una battaglia contro regimi dittatoriali e terroristici. Insomma, democrazia e libertà hanno un prezzo. Ed ecco tornare il terrorismo. Paradossalmente, l’unica accusa finora risparmiata a Vladimir Putin. Forse perché a scacciare a fucilate l’Isis dalla Siria ci hanno pensato russi e Hezbollah insieme all’esercito di Assad, mentre qualcun altro riforniva segretamente i tagliagole – quando non garantiva direttamente supporto aereo, con la scusa paradossale e criminalmente puerile di bombardarne le posizioni – e altri ancora ne curavano i feriti sulle alture del Golan.
Ricordatevene anche voi, perché prima di straziarci l’anima per Mariupol e Kiev, ce la facevamo letteralmente addosso ad andare a sentire un concerto, visto quanto accaduto al Bataclan. E il cattivo del Cremlino ha spedito parecchi di quei galantuomini barbuti nel posto a cui appartenevano: l’inferno. Qui occorre capirsi: se la volontà Nato è quella di arrivare a un cessate il fuoco e a una soluzione negoziale sarebbe sacrosanto e legittimo perseguire quella strada. Ma pare ormai chiaro che l’agenda parallela sia quella di giungere alla destituzione di Vladimir Putin. Per una volta in vita sua, Joe Biden ha detto la verità. Allora la questione cambia. Allora, Zanichelli alla mano, l’intento Nato non è più riconducibile a un’attività di mera difesa o deterrenza per gli Stati membri, ex articolo 5, bensì di destabilizzazione di uno Stato terzo e delle sue strutture di potere. La Nato è terrorista, se vogliamo vedere il mondo in bianco e nero. E vale per tutto. Vale persino per l’ultima polemica che ha investito il professor Orsini, quella relativa a quale status sia preferibile per i bambini, se sotto una dittatura o sotto le bombe. Nel primo caso, aneleranno la libertà. Nel secondo, la vita stessa. Certo, la terza ipotesi è quella più in voga: crescere liberi e felici in una villetta unifamiliare del New Jersey, come nei film tipo American pie, di fatto unico riferimento culturale di molti guerrafondai all’amatriciana. Peccato che non sia possibile. E, soprattutto, peccato che alcuni Stati non vogliano essere il New Jersey. In compenso, tutti puntano a essere il Delaware di Joe Biden. Ovvero, un paradiso fiscale dove transitano fondi neri e chissà che altro.
La logica del McDonald’s come totem di democrazia globale è un’idiozia. Giustamente, ognuno a casa sua vuole vivere e governare in base alle sue regole e alle sue tradizioni. La Russia non intende imporre il metodo Putin al mondo. E non perché sia il regno del Bene, semplicemente per pragmatismo: un Paese che campa sull’export di materie prime, tende a tenersi buoni i propri clienti. E se ne frega di come regolamentano il loro vivere civile, basta che paghino puntuali. L’America no. L’America, piaccia o meno ammetterlo, il suo modello vuole imporlo. Con le buone da alleato o con le cattive da gendarme.
È la storia a parlare, chi lo nega è in malafede. E, infatti, non potendo chiamare Vladimir Putin terrorista come normalmente si fa contro chiunque entri nel mirino perché ritenuto scomodo, il concetto veicolato a forza dai media oggi è quello dell’assassino. I russi i bambini non li mangiano più, li uccidono a sangue freddo. Al riguardo, l’altro giorno mi è tornata in mente una frase dell’ex numero uno della DDR, Erich Honecker, pronunciata nel corso della sua autodifesa di fronte al tribunale di Berlino nel 1992: “Qui non solo si prosegue la Guerra fredda ma si vogliono gettare le fondamenta di un’Europa dei ricchi. L’idea della giustizia sociale deve essere soffocata una volta per tutte. Bollarci come assassini serve a questo”. Ideologia. E propaganda. La carne e il sangue della DDR, d’altronde. Con una differenza. Al netto del voler più o meno fare i conti con lo sviluppo del concetto politico di Europa post-Muro, all’epoca il rischio era reale, la contrapposizione Est-Ovest un dato di fatto, il rischio di un’invasione forzatamente ingigantito ma potenzialmente plausibile. Berlino stesso era divisa in due. Oggi nessuno, a meno di acclarata stupidità o malafede, può sostenere che Vladimir Putin abbia mire imperiali ed espansionistiche sull’Europa. La questione ucraina è materia tutta interna al concetto di sovranità geopolitica post-sovietica e allargamento a Est della Nato: Mosca non vuole invaderci. Noi, a dire il vero, qualche abbondante prodromo di accerchiamento nei suoi confronti lo abbiamo posto in essere. Addirittura eclatante, quando decidemmo di bombardare Belgrado ed eliminare Milosevic. Perché cominciammo a fare pipì nei Balcani, a marchiare il territorio.
La questione è solo una, quantomeno se si vuole davvero arrivare alla pace e non al regime change: la coscienza dell’Occidente è pulita rispetto a quanto sta accadendo? O, da buoni terroristi, abbiamo accorciato non poco la miccia, prima di lasciarla in bella vista e a disposizione delle velleità incendiarie del Cremlino?
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