SPILLO UE/ Perché von der Leyen scarta la via più sostenibile dell’auto elettrica?

- Alberto Contri

Il brusco passaggio dettato dalla Commissione europea verso l'auto elettrica rischia di non essere così sostenibile come si pensa

vonderleyen 6 lapresse1280 640x300 Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea (LaPresse)

Stiamo sperimentando sulla nostra pelle gli effetti del riscaldamento globale: caldo torrido e relativa siccità, uragani e tifoni devastanti, grandinate micidiali, piogge torrenziali e alluvioni. Mentre gli scienziati ancora discutono se sia davvero tutto frutto delle attività umane o di un ciclo naturale, i grandi della terra si riuniscono per prendere decisioni sulla riduzione dell’inquinamento e sul risparmio energetico. Come prima della classe, la presidente della Commissione europea ha presentato a metà luglio a tutti i Commissari un pacchetto di proposte denominato “Fit for 55”, con l’obiettivo di ridurre entro il 2030 del 55% le emissioni rispetto ai livelli del 1990.

Le automobili a benzina e diesel sono le prime a entrare nel mirino: si propone che le emissioni di vetture e furgoni entro il 2030 debbano essere ridotte del 55% rispetto al 2021 e del 100% per il 2035. Da quella data potranno essere immatricolati solo veicoli elettrici o a idrogeno (mentre quelli tradizionali già su strada potranno continuare a circolare). Volkswagen e Stellantis hanno già annunciato che si stanno adeguando, mentre l’associazione europea dei costruttori di auto ha protestato, sostenendo che mettere al bando la tecnologia in uso è un modo irrazionale di procedere. Rispondendo alle critiche, la Commissione ha proposto un regolamento che prevede la costruzione in ogni Paese di una stazione di ricarica ogni 60 chilometri, per un totale di 3,5 milioni entro il 2030 e 16,3 milioni nel 2050. Si pensa inoltre di mettere una tassa sulle emissioni, sia delle auto che del riscaldamento domestico e industriale, tassa che verrà inevitabilmente ribaltata su consumatori finali.

Non ho mai compreso il significato di simili provvedimenti, in quanto gli Stati incassano, ma l’inquinamento non diminuisce affatto. Come su altri argomenti, vedi l’identità di genere, Ursula von der Leyen si muove come una suffragetta, incurante di ogni riflessione critica.

In molti si domandano da dove si prenderà tutta l’energia che servirà, inoltre da centrali che in una certa parte funzionano ancora a carbone? Quest’anno, alle prime avvisaglie di temperature leggermente superiori alla norma, i condizionatori si sono accesi tutti assieme, causando diversi black-out in molte città: figuriamoci quando a succhiare energia ci saranno anche tutte le auto. Molti esperti inoltre giudicano del tutto impossibile una così rapida costruzione delle colonnine di ricarica. Tempo fa girava sui social la foto di una stazione a ricarica rapida in un Autogrill: dato che per la ricarica rapida ci vuole molta più potenza, il bocchettone dell’auto era collegato a un…generatore diesel!

Una diffusa rivista di auto tedesca aveva pubblicato tempo fa un studio in cui si dimostrava che tra un’auto diesel e un’auto elettrica risultava meno inquinante quella diesel, se si prendevano in considerazione anche le emissioni necessarie alla costruzione delle batterie. Per non parlare del problema del loro smaltimento.

Altra questione spesso sollevata è quella dei costi: attualmente la maggior parte delle auto elettriche costa assai di più di un equivalente modello a combustione, senza considerare che negli anni le batterie perdono capacità e vanno sostituite.

Ha fatto colpo la decisione di Sir James Dyson (famoso per aver rivoluzionato la categoria degli aspirapolvere) di abbandonare un investimento previsto di oltre 1,8 miliardi nell’auto elettrica. Il prototipo costruito era notevole: un suv a 7 posti con 500 cavalli di potenza, e un’autonomia doppia di tutte le attuali auto elettriche, quasi 1.000 km. Ma sarebbe costato circa 170.000 dollari, il che fa capire quante se ne sarebbero potute vendere.

Recentemente è uscito allo scoperto anche il Ceo della Toyota Akio Toyoda, raccogliendo in un discorso tutte le osservazioni negative fin qui espresse. Ha inoltre affermato che il Giappone rimarrebbe senza elettricità in estate se tutte le auto funzionassero con energia elettrica. E che l’infrastruttura necessaria per supportare una mobilità composta solo da veicoli elettrici costerebbe al Giappone tra i 14 e i 37 trilioni di yen, vale a dire tra i 110 miliardi e i 290 miliardi di euro. Ha inoltre ribadito che per la produzione delle batterie le emissioni totali di CO2 di un’auto elettrica sono quasi il doppio rispetto a quelle generate per la fabbricazione di un’auto con motore a combustione.

Qualcun potrebbe dire che il suo intervento miri a mantenere lo status quo, mentre in realtà è dettato anche dal timore di far perdere al Giappone diversi milioni di posti di lavoro. Probabilmente, come sempre, in medio stat virtus.

Se si potenziasse la ricerca per migliorare le auto ibride e trovare pannelli solari in grado di dare sufficiente potenza ai motori, il traguardo del Fit for 55 si potrebbe raggiungere procedendo senza strappi devastanti e secondo un concetto di sostenibilità complessiva più ragionato di quello di Ursula von der Leyen, che sembra inseguire soprattutto la bussola del politically correct e delle dichiarazioni utili a catturare consenso.

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