Il film "Springsteen - Liberami dal nulla" è un biopic che racconta un periodo preciso della vita di Bruce e sembra funzionare
L’industria della musica, pesantemente in crisi dopo la fine della vendita dei dischi fisici, molto più di quanto il cinema non sia in crisi per lo streaming, ha dovuto trovare molti altri modi per sopravvivere. Uno di questi, il più redditizio, è l’attività live, ma uno dei più utilizzati è quello del cinema. Tra film biografici e documentari divulgativi o promozione, il grande schermo è corso in aiuto della musica
Ultimo arrivato tra i biopic dedicati ai grandi della musica è Springsteen – Liberami dal nulla, che racconta un periodo molto preciso e difficile della vita di quello che un tempo era soprannominato Boss, ma ora per i fan è semplicemente Bruce: ossia, quando nel 1981, dopo il trionfale tour a seguito del successo di The River, il rocker (interpretato da Jeremy Allen White) è stanco, vuole frenare e cominciare a pensare a una serie di brani diversi, più intimi, estranei al carrozzone della musica in cui pure è salito da vincitore.
Da quei mesi di dolore psicologico e sfida contro le convenzioni nascerà Nebraska, un disco bellissimo, ma all’epoca quasi nascosti tra precedenti successi e quelli futuri (Born in the USA).
Scott Cooper, regista dalla profonda anima musicale e springsteeniana (Crazy Heart, il suo debutto, oppure Il fuoco della vendetta), ha scritto e diretto il film basandosi su un saggio di Warren Zanes, musicista rock a sua volta, con l’obiettivo di fare una pellicola che esca dalla mitologia tradizionale del divo musicale e racconti la zona depressa della star, concentrandosi sul rapporto col padre spesso alcolizzato (Stephen Graham) e con il manager Jon Landau (Jeremy Strong, in forte odore di nomination all’Oscar), per cogliere gli elementi intimi che danno forma a un processo creativo.
Particolarmente interessante la riflessione su come lo showbusiness non fosse pronto ad accogliere quel disco – che non ebbe singoli, né tour di supporto, né promozione stampa – soprattutto perché tecnologicamente troppo basico: Springsteen lo registrò su un registratore casalingo e non si riusciva a trarne un suono soddisfacente.
La sfida è complicata, ma Cooper riesce tutto sommato a vincerla, restando stretto sui personaggi con la macchina da presa, appoggiandosi a un stile classico e convenzionale che sa scaldare proprio in virtù del suo modo di ritrarre gli esseri umani, accogliendo le influenze che hanno permesso la creazione di Nebraska, come il film di Malick La rabbia giovane, dal cui titolo originale (Badlands) deriva anche una celebre canzone di Springsteen degli anni ’70, i racconti di Flannery O’ Connor, La morte corre sul fiume.
Soprattutto, il regista, aiutato dalle immagini di Masanobu Takayanagi, cerca lo stesso tono, lo stesso passo dell’album di cui sta narrando la genesi, vuole le ombre e i mugugni, gli strappi emotivi e le desolazioni che renderanno più luminoso il trionfo.
Springsteen – Liberami dal nulla serve proprio allo scopo di ravvivare un mito raccontando il parziale e provvisorio oscuramento, è didascalico per coinvolgere anche il pubblico che non necessariamente è fan dell’artista, ma al tempo stessa sa scaldare il cuore degli aficionados (“We Believe in Bruce Springsteen”, Noi crediamo in Bruce Springsteen si sente dire verso il finale). È un’operazione ben pensata e un film riuscito: l’arte che convive con l’industria, proprio come da credo di Bruce.
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