Le banche sempre più sotto i riflettori e non solo per il risiko di inizio 2025 esploso in modo fragoroso con la vicenda Mps-Mediobanca che infiamma addetti ai lavori, analisti e commentatori. E sempre più, quasi ogni giorno, si registrano novità: l’ultima, in ordine di tempo, l’Ops di Bper sulla Popolare di Sondrio. Di certo in questo 2025 qualcosa, di non secondario, accadrà.
Tra i grandi gruppi intanto Intesa Sanpaolo si è tirata fuori. Il Ceo Messina ha dichiarato: «Nessun bisogno di acquisizioni, di M&A», in occasione della presentazione dei conti lo scorso 4 febbraio. Utili record, con un risultato netto di 8,7 miliardi di euro (+12% vs 2023), il 2024 è stato il miglior anno di sempre e ne pone la redditività ai vertici di settore.
A proposito di bilanci, in attesa comunque dei risultati definitivi per le altre banche, il 2024 può essere considerato fra i più positivi degli ultimi anni. Le semestrali e le trimestrali al 30 settembre generalmente confermano i risultati per dimensione assoluta rispetto all’attività svolta. Le banche che hanno utilizzato al meglio le condizioni dello scenario complessivo avranno la possibilità di proseguire anche nel 2025 un trend positivo pur in un contesto evolutivo e di profonda trasformazione?
Di questo e non solo si è occupato l’Outlook 2025 S&P Global Ratings per l’Italia che gli analisti dell’agenzia di rating hanno presentato alla stampa a Milano il mese scorso. La ripresa economica è in atto, ma ci sono molti elementi da monitorare, per le banche le prospettive sono stabili: occhi puntati, come facilmente prevedibile, sul consolidamento e le operazioni di M&A del settore.
Bene ma non benissimo. Dallo 0,5% (dato finale atteso per il 2024), il Pil italiano dovrebbe arrivare allo 0,9% a fine 2025, per poi accelerare debolmente nei due anni successivi. La ripresa dell’economia europea c’è ed è in atto, ma “ci sono molti elementi di incertezza all’orizzonte” che potrebbero andare a impattare lo scenario macroeconomico come l’impatto delle nuove misure messe in atto da Trump, la crisi politica in Francia e Germania, la debolezza delle imprese e la crisi dei fattori produttivi non dimenticando le conseguenze negative sul mercato del lavoro e la frenata di alcuni settori come il manifatturiero.
Il Pil italiano sta usufruendo degli investimenti del Pnrr, anche se, secondo gli esperti, la maggior parte dei vantaggi per l’economia del Paese deve ancora essere messa a terra. Sino a oggi l’impatto positivo del programma è di circa il 2% e comunque inferiore alle attese, anche se c’è da dire che molti degli investimenti destinati alle riforme generano benefici su tempi più lunghi.
Alla ripresa dell’economia europea, con risvolti su quella italiana, dovrebbe contribuire anche l’ulteriore allentamento della politica monetaria da parte della Bce. Con la manovra di fine gennaio il costo del denaro nell’Eurozona è sceso dal 3% al 2,75%. Per la quinta volta dallo scorso giugno, è stata invertita la rotta della politica monetaria. Una discesa importante se si pensa che prima dell’estate il tasso principale era ancora al 4,5%.
La Presidente Lagarde ha lasciato intendere che si continuerà in questa direzione, pur non offrendo certezze su tempi e decisioni future e tendendosi le mani libere a seconda di cosa “suggeriranno” i principali indicatori economici nei prossimi mesi: «In questo momento è prematuro dire dove il calo dei tassi d’interesse dovrà fermarsi, perché la decisione sarà basata sui dati economici». Il focus della Bce resta sull’inflazione e per i prossimi mesi verranno valutati gli effetti dei possibili dazi degli Usa.
Sul fronte bancario, gli analisti di S&P comunque rassicurano: il settore è in buona salute e le prospettive sono largamente stabili. La redditività del sistema bancario italiano, insomma, resterà positiva anche nel 2025. Benché la valutazione media delle banche italiane sia BBB contro l’A- della media europea, la profittabilità degli istituti di credito rimarrà elevata, nonostante il calo dei tassi di interesse, con un rendimento del capitale che probabilmente supererà in media il 14% anche se diventerà più evidente la differenza fra le varie istituzioni. I margini d’interesse saranno minori (caleranno al 6/7% su base annua), ma nel contempo ci sarà un aumento delle commissioni.
Quel che è certo è che il consolidamento sarà il tema principale di quest’anno, in seguito alle operazioni in programma. La struttura del settore bancario probabilmente cambierà in modo sostanziale, aprendo la strada a player più forti: “La struttura azionaria ostruzionistica di diverse banche potrebbe influenzare l’esito degli accordi ma il consolidamento sarà inevitabile e il potenziamento della gestione patrimoniale, sarà cruciale”.
“Il settore bancario italiano si sta evolvendo”, prosegue S&P nella sua analisi. “Continuiamo ad aspettarci che il settore alla fine si dividerà tra grandi operatori con capacità di fare utili e di finanziare l’innovazione necessaria per navigare nella trasformazione digitale e le banche più piccole e agili in grado di adattarsi rapidamente al comportamento mutevole dei clienti”.
Chiudiamo con un breve cenno sul 11° Report dell’Osservatorio sulla desertificazione bancaria di First-Cisl reso noto il 7 febbraio su dati di Banca d’Italia e Istat al 31/12/2024. Un fenomeno già oggetto di analisi in precedenti contributi. Continua il processo di disimpegno dai territori delle banche italiane, sono stati chiusi altri 508 sportelli nel 2024, l’ultimo trimestre è il peggiore dal 2022.
A livello nazionale le filiali scendono sotto quota 20mila. Quasi la metà dei comuni italiani è priva di sportelli: 3.381, il 42,8% del totale, 101 in più rispetto al 2023. Oltre 4,6 milioni di italiani non hanno accesso fisico ai servizi bancari. Fortissima l’accelerazione nell’ultimo trimestre, con 432 sportelli chiusi e 82 comuni abbandonati. Tagli alla rete fisica, in modo pressoché uniforme sul territorio nazionale, con chiusure complessive che, in realtà, hanno raggiunto quota 609, un dato statistico alterato dalle 101 aperture operate.
Aumenta anche il numero delle persone che non ha accesso ai servizi bancari o rischia di perderlo: sono circa 11 milioni, mezzo milione in più rispetto a un anno fa. Di queste, oltre 4,6 milioni (+6,5%) vivono in comuni totalmente desertificati; quasi 6,3 milioni (+4,5%) in comuni in via di desertificazione, quelli con un solo sportello.
In Italia solo il 55% degli utenti utilizza l’internet banking contro una media Ue del 67,2%. Ciò rappresenta anche un acceleratore dell’esclusione sociale, soprattutto per le fasce più anziane della popolazione, penalizzate da minori competenze digitali (tra i 65 e i 74 anni solo il 33,9% utilizza l’internet banking contro una media Ue del 44,7%). E infine nel constatare che sono sempre più grandi i comuni abbandonati, preoccupano anche i possibili effetti del risiko bancario.
Il processo di ulteriore concentrazione del sistema, che si profila con le operazioni annunciate, potrebbe portare a breve, con le sovrapposizioni tra le reti fisiche sui territori, a riduzioni di costo basate su nuovi tagli di sportelli e servizi oltre a un’ulteriore contrazione dell’occupazione nel settore.
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