Dell’intervento del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, all’assemblea dell’Abi hanno fatto titolo – assieme a quelle del ministro dell’Economia, Daniele Franco – le valutazioni sul percorso macro di uscita dell’Italia dalla recessione Covid. In realtà il punto della situazione dedicato agli intermediari bancari non è stato certo elusivo verso le sfide del settore creditizio e in particolare sul cantiere sempre aperto del risiko.
“Alle sfide – ha detto Visco – gli intermediari stanno rispondendo anche attraverso piani di ristrutturazione e possibili operazioni di aggregazione. Seguiamo da vicino questo processo, anche nell’ambito dell’Eurosistema, non certo per guidarne l’esito secondo programmi prestabiliti, ma per assicurare che esso conduca a intermediari più solidi e, quindi, maggiormente in grado di sostenere l’economia e favorirne il ritorno su un sentiero di crescita elevata e duratura. Allo stesso modo, siamo impegnati nella valutazione delle possibili soluzioni ai casi di crisi che riguardano alcuni intermediari di medie-grandi dimensioni, attualmente alle prese con processi di recupero e risanamento che le difficili condizioni economiche sperimentate negli ultimi anni hanno contribuito a rendere ancora meno agevoli”.
Poche righe, ma non di routine: seguite peraltro da un paio di pagine focalizzate sulle banche di piccole dimensioni e in modo specifico su credito cooperativo. Con un messaggio ribadito: Bankitalia “segue da vicino” ogni ipotesi di aggregazione, nel senso che si augura che ne vadano in porto il più, il meglio, il più rapidamente possibile.
È ovvio che – con il “super-governatore” Mario Draghi a palazzo Chigi – l’approccio di via Nazionale si tiene programmaticamente lontano da ogni dirigismo: anche e soprattutto quando la banca al centro del cantiere è Mps, temporaneamente controllata dallo Stato. Tuttavia la “moral suasion” – che rimane l’unico strumento pienamente disponibile alla vigilanza nazionale – non rinuncia spingere il sistema a concentrarsi: la gestione dei “cattivi crediti” vecchi e nuovi e soprattutto i nuovi investimenti in fintech non conoscono ricetta migliore delle fusioni e acquisizioni, dell’aumento delle dimensioni aziendali, delle razionalizzazioni organizzative (anche se – ha riconosciuto il Governatore – comporteranno necessariamente tagli di personale).
L’unico vincolo posto dal vertice Bankitalia sembra essere il mantenimento della corrente “solidità patrimoniale” di un sistema che “ha superato bene” i lunghi mesi della pandemia e che ha molte carte da giocare sul terreno della Recovery. Anche nella sfera di aggregazioni fra gruppi quotati (compreso Mps) non possono esserci spazi per eventuali valutazioni generose: che riducano o diluiscano la base patrimoniale consolidata del settore nazionale; oppure ne compromettano la futura redditività e capacità di investimento. Ma, a parte questo, è ovvio che palazzo Koch (cui fa capo anche l’Ivass, l’authority di supervisione dl settore assicurativo) ha fatto capire che sarà delusa se nel secondo semestre dell’anno, appena iniziato, non vedesse giungere sui suoi tavoli dossier di operazioni che stanno prendendo forma.
Sotto questo profilo l’assemblea Abi sembra quindi aver fatto notizia: ad esempio, quando ancora si discute se un investitore come Leonardo Del Vecchio – giunto a detenere il 20% di Mediobanca – debba rispettare per opache ragioni di principio uno status quo che in piazzetta Cuccia dura praticamente dalla morte del fondatore (oltre vent’anni fa); e che congela ogni rilancio strategico delle Generali. Senza contare che uno sblocco dello stallo in Mediobanca potrebbe coinvolgere UniCredit, facilitando un intervento parallelo su Mps, che sarebbe certamente gradito ed è già “seguito da vicino” da Bankitalia e dal Governo. Ma non è solo il piano più alto del settore finanziario italiano a essere sotto i riflettori, sia del governatore che del mercato: anche Banco Bpm deve giocare i suoi residui spazi di libertà nello scegliere un partner. Ormai fra due ipotesi: lo stesso UniCredit o il polo Unipol-Bper.
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