C'è attesa per la decisione che la Fed annuncerà domani. E c'è da chiedersi se vorrà causare uno scossone sui mercati o evitarlo

We expect a 25 bps cut in addition to the announcement of RPMs (Reserve Management Purchases) and term repo operations, disse Bank of America. The Fed could buy ~$40 bn of T-bills a month in early 2026, rispose Ubs. And pray the market doesn’t notice, aggiunge il sottoscritto.

Queste le aspettative in vista del board Fed di oggi e domani e dell’annuncio di Jerome Powell rispetto all’ultima decisione di politica monetaria del 2025. Bullish. Inutile negarlo. Ma con un quid, appunto. Un quid che ci impone di capire se la Fed opererà come reazione a un atteso scossone di mercato. O, invece, intende generare il medesimo quasi a tavolino proprio con questa operazione da salto in avanti rispetto a criticità presenti (vedi repo) ma finora negate o ridimensionate.



Insomma, c’è il rischio di uno stigma. C’è il rischio dell’effetto jump the gun. Ma chi potrebbe prestarsi al ruolo di detonatore e chi di accelerante dell’incendio doloso, se parliamo di equities (in settimana parleremo di obbligazionario e vedrete che di serpenti sotto la pietra ce ne saranno parecchi)? Occorre quindi focalizzarsi sulla loro potenziale price action, sui focolai cui la Fed potrebbe paradossalmente fare affidamento per generare ciò che le serve.



Ovvero, preso atto soprattutto della previsione di Ubs, nulla più che un supporto di liquidità attraverso flussi che stabilizzino in maniera mirata (e quasi chirurgica) le pressioni sul collaterale. E facciano appiattire le sinusoidi di stress presenti del cardiogramma dei money markets. Insomma, front-end liquidity come politica monetaria. Quantomeno come primo step.

Tre i potenziali epicentri. Primo, il comparto dei semiconduttori, il quale appare decisamente in fase di approccio a un redde rationem che riguarda non una criticità settoriale da domanda/offerta gonfiate, ma l’intero sostegno agli indici via trimestrali. Ci sono poi le banche, stante un cuneo crescente che sembra direzionare già su mese di gennaio 2026 l’arco temporale per un’ipotesi da punto di rottura. E possibile sell-off. Di fatto, quasi un compendio tecnico alla previsione di Ubs.



Terzo, il breakout potenziale di petrolio Usa, rame e gas naturale, di fatto la conferma implicita che l’inflazione sia tutto tranne che sotto controllo, nonostante gli strepiti al taglio dei tassi. E che sembra però accordarsi alla perfezione con vibrazioni molto anni Settanta. Ovvero, proprio una bella sell-off azionaria che potrebbe entrare nel novero delle principali opzioni presenti nel playbook delle soluzioni temporanee al problema.

Sarà quindi Wall Street a sostenere la Fed o la Fed a stimolare la reazione di Wall Street? Questa l’unica domanda da porsi. E a cui è necessario trovare risposta. Per il resto, tutto risiede nell’obbligazionario. Ovviamente, le equities abbondano di casus belli pronti a esplodere e prestare il fianco, ad esempio, a quanto atteso da Bank of America. Ovvero, un Qe mascherato da intervento sulla gestione delle riserve. Ad esempio, OpenAI. Più di Oracle, nonostante il cds a 5 anni di quest’ultima ormai in modalità parabolica. Più di Nvidia, la quale gode di un’immunità da market cap che la scherma da correzioni e la vede in lizza solo per il ruolo di protagonista in quello che sarebbe un crollo.

E non certo una purga di eccesso di leverage. Paradossalmente, persino più di MicroStrategy, poiché l’ultima, folle price action di Bitcoin nella giornata di venerdì scorso conferma come la presunta alternativa al sistema fiat manipolato sia, già oggi, in balia di uno, massimo due soggetti forti in grado di operare scostamenti da 10.000 dollari in valutazione (e qualche centinaio di miliardi in short o long bruciati) nell’arco di un’ora o poco più.

Perché OpenAI? Paradossalmente, Sam Altman ha offerto la risposta la scorsa settimana, quando ha dichiarato la volontà di sfidare Starlink con lo sviluppo di un progetto spaziale. Che contempli anche data centers! D’altronde, se hai conti e outlook lunari, quello è il tuo place of business naturale. Lo mostrano questi due grafici contenuti nel report-j’accuse di Hsbc che, apparentemente, soltanto il Financial Times pare aver preso sul serio.

Vogliamo parlare del capitolo perdite? OpenAI da qui al 2029 è attesa da una spesa pari a 488 miliardi di dollari e revenues solo per 345 miliardi. Un gap di perdita cumulativa di 143 miliardi di dollari, il quale si sostanzia prima e al netto dell’ultima ondata di accordi (circular deals) sull’espansione dei data centers. E si parla di uno scherzetto che fa capo a 1,4 trilioni di dollari. Insomma, 140 miliardi di dollari di perdite prima di generare un profitto da 1 singolo dollaro.

Di più, Hsbc assume come scenario base quello in cui OpenAI raggiunga 3 miliardi di users entro il 20230, quindi il 44% della popolazione mondiale al di fuori della Cina. Di questi il 10% sarà cliente a pagamento, il doppio dell’attuale 5%. Inoltre, assume che OpenAI sia in grado di catturare il 2% dell’advertising digitale totale e che l’AI nel suo complesso settoriale le garantisca 386 miliardi di dollari annui.

Bene, nonostante questo best case scenario da libro dei sogni, OpenAI non sarebbe comunque ancora in grado di far fronte interamente alle sue spese. Poiché solo il gap relativo a spese di noleggio VS cash flow lascerebbe aperto buco da 207 miliardi di dollari. E parliamo appunto di un modello incredibilmente benigno. Praticamente uno stress test che venga affrontato dopo un drastico taglio dei requisiti di riserva. E con l’impatto di un evento one-off conosciuto e atteso.

Eppure… Eppure il mercato pare non aver letto il report della banca britannica. Né il resoconto ampio e decisamente allarmato che di esso ha fatto il britannico Financial Times. Perché porre l’accento sulla nazionalità? Il capitolo dedicato all’obbligazionario (e strettamente connesso alle equities, come non mai), chiarirà il tutto.

La soluzione? Per Hsbc, OpenAI might need to walk away from data center commitments” and hope the big players show flexibility, because less capacity would always be better than a liquidity crisis. Insomma, la prospettiva è di rally per l’inizio 2026. Di cieli azzurri. Ma dopo un temporale scaccia-afa, più che dopo una pioggia monsonica. Occorre quindi calibrare esposizione e tempistica, poiché il problema è che, se la Fed intende stimolare la reazione, questa sarà sì breve. Ma brusca. E repentina, soprattutto sui quadranti più esposti.

La mia previsione? Il nodo bancario – strettamente connesso all’obbligazionario, come vedremo – citato in precedenza mi vede particolarmente d’accordo, quando si tratta di detonatori.

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