Nelle 60 ore che hanno diviso l’annuncio ufficiale di dazi Usa verso Messico, Canada e Cina, le criptovalute nel loro insieme hanno bruciato 760 miliardi di valore. Ovvero, circa 12,7 miliardi all’ora. Ma Bitcoin e soci non erano forse la nuova frontiera del bene rifugio, l’oro digitale, il safe haven 2.0? Perché allora si inabissano di fronte a un evento totalmente macro e assolutamente atteso da mesi, esattamente come farebbero una valuta o un indice di Borsa qualsiasi?
L’oro nelle negoziazioni di domenica notte, infatti, ha flirtato con quota 2.900 dollari l’oncia. L’oro è un bene rifugio, le cripto no. Chissà che questo spartiacque storico ci insegni e ci metta in guardia almeno su questo, quantomeno avremo imparato qualcosa per il futuro. Il problema sostanziale, però, è altro. Ed è tutto italiano. La Schadenfreude anti-tedesca rischia di tramutare il solito colpo di pistola nel piede che il nostro provincialismo da finale del Mondiale ci riserva ciclicamente nel prodromo di de-industrializzazione finale. E svendita terminale di ciò che resta del Paese.
Non a caso, la politica ha fiutato l’aria dal 1992 reloaded è si è messa a giocare con il Risiko bancario della finanza. Addio prestiti alle PMI, evviva i trading desk. L’autostrada per l’inferno, volendo citare gli AC/DC. Perché a parte i soliti, irrecuperabili noti, l’impressione è che anche settori solitamente più raziocinanti e lungimiranti del Governo stiano facendo ciecamente affidamento sulla mezza promessa di Donald Trump a Giorgia Meloni al termine del loro colloquio in Florida. Ovvero, stante la simpatia personale verso la Premier italiana, forse il Belpaese sarà esentato da dazi sui suoi prodotti da esportazione. O, al massimo, li subirà ma in percentuale minore dei suoi concorrenti interni all’Ue. E proprio la Casa Bianca nella notte fra domenica e lunedì ha reso noto di aver messo sul tavolo ufficialmente l’opzione di dazi differenziati fra i vari Paesi europei.
Immediato pare esploso il riflesso pavloviano da vittoria diplomatica grazie al nostro atteggiamento da zerbini, perfettamente sintetizzato da una Farnesina che invita Bruxelles a cedere immediatamente alle minacce statunitensi. Aumentando senza battere ciglio e senza guardare troppo al prezzo gli acquisti di merce a stelle e strisce, onde evitare sanzioni. Davvero dei cuor di leone. Anche un po’ statisti. La cosa paradossale è che celebrano Bettino Craxi come tale, uno che Sigonella l’ha fatta. E pagata. Come Moro il suo lodo. Insomma, il progetto pare chiaro: smembrare l’Ue dall’interno, colpendo in maniera devastante e finale l’ex locomotiva, quella Germania che casualmente ormai vede Elon Musk parte in causa interessata e onnipresente nella campagna elettorale. Mentre la crisi industriale continua ad avvitarsi verso il basso in maniera terrificante.
Questo grafico parla da solo e ci mostra come i due indici principali di fiducia e sentiment economico tedeschi stiano ulteriormente precipitando verso il pessimismo cosmico. E sono le imprese a offrire le risposte che poi la statistica tramuta in letture e percentuali macro.
Parliamo di una Germania che, a pochi giorni da un voto a dir poco storico e sul filo dell’incertezza totale, ha appena tagliato la sua proiezione sul Pil per l’anno in corso da +1,1% a +0,3% e quella per il 2026 da +1,6% a +1%. Ma ovviamente, chi ragiona pensando che colpire Basf o Volkswagen rappresenti un bene per il Made in Italy e la nostra crescita economica, si frega le mani. L’amico americano esenterà i nostri gioielli agro-alimentari e del lusso dal regime di dazi, il Pil è destinato a esplodere. E la nostra economia a divenire traino dell’Unione.
Peccato che, dati Istat 2023 alla mano, la Germania rimanga il nostro principale partner economico, sia in termini di export (74,6 miliardi), sia di import (89,7 miliardi). Parliamo di un interscambio da 164,3 miliardi di controvalore. Il quale fa riferimento per un 70% abbondante alle Regioni del Nord Italia. Le cui Pmi stanno già oggi chiudendo i battenti per la crisi del partner storico, come certificato dalle stesse associazioni di categoria territoriali. Le stesse Pmi che, a loro volta, risultano essere contributori netti al Pil nazionale in maniera e su volumi decisamente non sostituibili. A meno di miracoli del Ponte sullo Stretto o di Roccaraso. Quindi, temo non serva un PhD in economia per capire che quanto potremmo potenzialmente guadagnare in quota export negli Usa con dazi limitati (o anche assenti) non valga la candela di un interscambio record e strutturale che precipita. E sul quale si basa l’economia e l’indotto del territorio più produttivo del Paese.
Ma se questo ancora non bastasse, attenzione a quanto dichiarato proprio ieri dal ministro per l’Ambiente e la Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, dopo aver confermato un rinnovato e implementato lavoro di squadra con il Mef e il ministro Giorgetti: Con questi prezzi dovremo intervenire per imprese e utenze domestiche. Temo un problema serio per l’estate. E quale sarebbe la soluzione del Governo, dopo aver millantato contratti nordafricani totalmente inesistenti? Comprare LNG statunitense a un prezzo dieci volte quello russo e con rischi reali sulla sicurezza degli approvvigionamenti e della rigassificazione? Evviva, sempre più statisti! Ero io catastrofista e disfattista, quando già la scorsa fine estate cominciavo a mettere tutti in guardia sul reale status quo energetico del Paese post-sanzioni oppure il Governo vi ha raccontato bugie e millantato ricette per mesi e mesi, salvo ora dover suonare l’allarme della realtà? Attenzione a ciò che desideriamo, quando ci facciamo sopraffare dalla Schadenfreude anti-tedesca e dall’eccessiva ed entusiastica fiducia riposta nell‘amico Donald. Perché potremmo ottenerlo. E piangere lacrime amare.
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