Mentre l'attenzione è concentrata a commentare le decisioni della Fed conviene guardare alla situazione europea
Quando leggerete queste righe, tutti noi sapremo già cosa ha deciso la Fed. Di conseguenza, questo articolo si dipana al buio. Ma poco importa. E non perché ormai le decisioni della Banca centrale Usa siano poco più che un siparietto alla Sandra e Raimondo fra Donald Trump e Jerome Powell. Bensì perché oggi parliamo di Europa.
Ci concentriamo su quella che dovremmo sentire come casa nostra, una casa comune. E invece appare un condominio dove impazzano dispetti e ripicche, salvo fingere concordia nel corso dei rituali e vuoti vertici di prammatica. Tutti risolutivi, chiaramente. E per parlare di Europa e i tassi di interesse, oggi occorre guardare fuori dall’Eurozona. Ma a pochi chilometri da Milano.
Occhi puntati infatti sulla riunione della Banca centrale svizzera, poiché un eventuale taglio dei tassi di un quarto di punto – come previsto dal consensus degli analisti – porterebbe il benchmark a 0% dopo tre anni di territorio positivo.
Se questi due grafici mettono in prospettiva il livello di incertezza che regna, addirittura con i rendimenti del titolo a due anni in negativo, a far paura è ciò che un eventuale approdo a quel livello del costo del denaro implicherebbe nell’azione politica futuro, soprattutto quella non più rinviabile di una svalutazione del franco, troppo forte per stimolare i consumi.
A detta di tutti, infatti, se oggi si propenderà per tassi a 0, l’eventuale arma del passaggio in negativo – extrema ratio nei casi di emergenza – sconterebbe qualche mese prima di poter essere sfoderata, quantomeno per evitare un messaggio troppo emergenziale ai mercati. E si sa, i tempi di reazione sono tutto.
E pur avendo sperimentato un -0,75% nel corso della scorsa decade, il settore creditizio elvetico – un moloch da 4,1 trilioni di dollari che sconta però lo stigma del default di Credit Suisse – dovrà quindi fare i conti con l’opzione già messa in preventivo da soggetti come Ubs Group AG, Postfinance e Zuercher Kantonalbank di far pagare per il privilegio di detenere soldi nei propri conti. Insomma, paga il correntista per depositare e non la banca per gestire il deposito.
Lo stesso presidente della Banca centrale (Snb), Martin Schlegel, ha ripetuto non più tardi della scorsa settimana come il ritorno a una discesa in negativo sia un’opzione, anche se non piace a nessuno.
In ultimo, attenzione al combinato che un eventuale approdo a tassi 0 potrebbe innescare con la ancora poco digerita richiesta da parte dei legislatori elvetici di un mega-accantonamento da 26 miliardi di dollari per Ubs (ancorché spalmati fino a 8 anni), al fine di evitare nuovi scenari stile Credit Suisse, stante uno stato patrimoniale post-salvataggio che è oggi superiore all’intero Pil elvetico.
Un altro twist in arrivo a scuotere la proverbiale stabilità bancaria svizzera? E perché dovrebbe interessarci in quanto europei dotati di euro e facenti capo alla Bce? Per rispondere a questa domanda, occorre partire col porsene un’altra: cosa sta succedendo sotto il pelo dell’acqua dell’Eurozona, debitamente nascosto dalle ricostruzioni apocalittiche che arrivano dal Medio Oriente? Quali corpaccioni di iceberg sono stati avvistati, mentre tutt’intorno si osserva compiaciuti la resilienza del mercato Ue agli shock esogeni, primo fra tutti un Dax che sembra non accorgersi di un’economia tedesca che chiuderà l’anno con un’altra contrazione della crescita?
Nell’arco di dieci giorni, infatti, l’Europa intesa come istituzione ha prima deciso di rinviare di un altro anno l’implementazione del capitolo di Basilea III relativo alla standardizzazione dei parametri di trading delle banche. E ora starebbe pensando a un liberi tutti sulle cartolarizzazioni, al fine di rivitalizzare il mercato.
C’è puzza di deregulation disperata. La stessa accusa che viene mossa agli Usa di Donald Trump. E in ossequio prudenziale della quale è stato appunto posticipato a inizio 2027 il redde rationem sui parametri estrosi dei trading desk. I quali, a oggi, fanno riferimento unicamente su quanto comunicato dalle banche stesse.
Di fatto, ci si fida del giudizio dell’oste riguardo alla qualità del suo vino. E si è sentita la necessità di farlo per un altro anno e mezzo. Adesso, festival dell’impacchettamento di rating assortiti. Con il forte rischio che a prevalere in molti soggetti dai bilanci over-leveraged sia la logica del caldarrostaio disonesto che mette sopra al cartoccio le castagne sane (poche) e sotto quelle bacate (la gran parte). Una cosa è certa: il timing.
Casualmente, l’Europa dal moralismo finanziario facile e dalle regolamentazioni ostrogote non ha perso tempo nell’utilizzare la cortina fumogena dei dazi prima e dell’imminente Armageddon mediorientale ora per sbracare in favore di un allentamento regolatorio che fino a un anno fa avrebbe visto la Bundesbank pronta alle barricate. La sensazione, quindi, è quella di una corsa disperata ad accelerare i tempi per non perdere l’occasione di risolvere senza dare nell’occhio alcune criticità strutturali, a loro volta ormai giunte al limite di occultabilità da Level 3.
Per questo – a mio modestissimo avviso – occorre stare molto ma molto attenti al richiamo fatto martedì da Christine Lagarde nel suo editoriale-manifesto sul Financial Times riguardo l’auspicabile e anzi necessaria fine dell’epoca dei veti dei singoli Stati. Questa mossa della Commissione sembra infatti essere il prodromo a una forzatura verso un blitz da contrafforte emergenziale che veda nell’implementazione del Mes il naturale approdo del percorso di rilassamento degli standard creditizi e prudenziali.
E il fatto che la numero uno della Bce abbia prima tuonato contro i veti solitari, ma poi ricordato come il Programma di ammodernamento della difesa europea passi da una logica di emissione comune, mostra un preoccupante profilo di bastone e carota. Soprattutto quando la stampa ha basato le sue cronache pressoché unicamente sulla panzana dell’occasione storica per l’euro di subentrare al dollaro come valuta benchmark mondiale. Solo due giorni dopo la conferma del sorpasso da parte dell’oro fisico nel ruolo di secondo assets di riserva delle Banche centrali globali, alle spalle proprio del biglietto verde…
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