In confronto al vertice Nato andato in scena questa settimana, il Circo Barnum appare una grigia riunione di condominio per discutere dei millesimi di un ripostiglio. Ma si sa, quando occorre far passare un qualcosa di epocale sotto silenzio, affinché ne si prenda atto a cose fatte, è necessario che altrove si sparino i fuochi d’artificio.
Nessuno sulla spiaggia si preoccupa dello tsunami, se sta guardando in cielo. Quindi, mentre Donald Trump vestiva i panni del Dottor Stranamore e l’Europa rispondeva signorsì, ecco che l’ente regolatore del mercato immobiliare federale Usa (Fhfa) imponeva a Fannie Mae e Freddie Mac, a loro volta incubatrici di immondizia cartolarizzata di prim’ordine ma soprattutto primi soggetti erogatori di mutui negli Stati Uniti, la contabilizzazione delle cryptovalute come assets all’atto dell’accensione di un mutuo.
Fino a oggi, infatti, il cittadino detentore di Bitcoin o affini, doveva convertirli in dollari e lasciarli a depurare in banca per 60 giorni, prima che quel denaro fosse qualificato per una transazione immobiliare. Formalmente, un taglio alla burocrazia. O, almeno, così viene venduto da chi ha come unica ragione d’esser il far percepire come innocuo l’ennesimo tassello di reset epocale.
In realtà, una rivoluzione. Ma di quelle che rischiano di far pagare il conto dopo, quando i barricaderi e i sovversivi vanno al potere e cominciano a comportarsi esattamente come i presunti despoti che li hanno preceduti e che hanno cacciato a furor di propaganda. Il tutto in un settore che nel 2008 ha già regalato delizie agli Usa e al mondo attraverso le sue attività finanziarie collaterali.
Ora, al netto di quanto sottolineato finora, la volatilità delle cryptovalute quanto potrà incidere in questo status di assets a garanzia? A quale montagna di rinegoziazioni andiamo incontro? E pignoramenti? Se Bitcoin, ad esempio, a metà del mutuo crollasse di valore dall’attuale area di 100.000 dollari a 60.000, cosa accadrebbe?
Ora, tanto per non farci mancare nulla apriamo il capitolo delle mere coincidenze. Perché quanto detto finora è nulla. O, quantomeno, offre una cornice a un dipinto ancora in lavorazione. Ma dalle tinte fosche, ancorché rese vivide come una tela fiamminga da certe pennellate di hype del sistema mediatico.
Come giudicare, infatti, quanto accaduto in contemporanea nella Grande Mela? Dove il candidato sindaco Democratico di New York (quindi, di fatto il futuro sindaco al 99,99%, stante lo status di santuario dem della capitale ufficiosa degli Usa) ha reso nota a tempo di record la sua intenzione – in caso di elezione – di procedere a una politica di congelamento degli affitti e ampliamento dell’housing sociale, generando uno schianto nei titoli di banche esposte sul real estate newyorchese e Reit (Real Estate Investment Trust, società che possiedono, gestiscono o finanziano proprietà immobiliari che generano reddito)? Cosa ci dice nella vecchia, cara logica dell’unire i puntini?
Ora date un’occhiata a questo grafico, il quale ci mostra la comparazione fra rendimento dell’indice Reit e quello del Treasury a 10 anni. Cosa ci dice o, quantomeno, si suggerisce?
Attualmente, il primo è di 27 punti base più basso del secondo. La media a 10 anni di questa correlazione, però, vede il primo 143 punti sopra lo yield del titolo di Stato benchmark. Tradotto e tagliato con l’accetta, l’attuale ratio sembra prezzare un indice Reit che debba correggere al ribasso del 26% dagli attuali valori di negoziazione.
Con Fannie Mae e Freddie Mac liberi da oggi di elargire mutui con Bitcoin e affini come garanzia – anzi, di fatto capitale – a un esercito di nerd e Mr. Smith smanettoni con rating Fico che non permetterebbe loro di affittare nemmeno un pedalò. Cosa può andare storto? Qualcuno sta forse attivando il conto alla rovescia a una bomba a orologeria per svegliare di soprassalto la Fed?
E attenzione all’esposizione ai Reit di banche tedesche e austriache, perché non pensiate che l’immondizia statunitense resti nelle discariche d’Oltreoceano in attesa della ciclica bad bank di Fed o Tesoro. In subordine, ecco che un’eventuale esplosione dei Reit genererebbe immediatamente un contagio sui Cmbs, ovvero le tranche più rischiose di cartolarizzazioni immobiliari, quelle legate al comparto corporate e in particolare ai malls, i centri commerciali e gli spazi per uffici. Nel pieno di una deregulation finanziaria come quella che ho raccontato non più tardi di due giorni fa.
Insomma, nel silenzio generale gli Usa stanno rimangiandosi ogni briciola di precauzionalità post-Lehman e stanno operando su una leva di azzardo quasi senza precedenti. E nel caso del real estate, addirittura aggiungendo al rischio di cartolarizzazione anche l’utilizzo di cryptovalute come garanzia implicita sui mutui. Ovviamente, andrà tutto bene. Come per il Covid. Ma ciò che imbarazza è il totale disinteresse del media, tutti concentrati sui nuovi record di Wall Street. Senza minimamente chiedersi come questi siano possibili.
Volete un ultimo appiglio di riflessione? Oggi il comparto dei semiconduttori pesa per oltre il 12% dello Standard&Poor’s 500. Sapete a sua volta quanto pesa Nvidia su quel settore? Da sola, il 56%. Al netto delle criticità che sconta e che vi ho raccontato nei mesi. Ecco un architrave di questi rialzi senza fine. Cosa può andare storto?
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