I mercati sono tornati alle quotazioni precedenti il 2 aprile. Il che dovrebbe far riflettere non poco su alcuni aspetti
E come volevasi dimostrare, tutto sta volgendo per il meglio. Con un sacco di tasselli che, magicamente (anzi, volendo dirla tutta anche con un sospetto timing di anticipo), vanno al loro posto.
La Cina ha dichiarato di stare valutando la posizione Usa per una trattativa ufficiale sui dazi. La quale, giova ricordare, a detta del segretario al Tesoro Usa, potrebbe richiedere 2-3 anni. Giusto la durata dell’Amministrazione Trump. Giusto un utilissimo flip-flop garantito.
Date un’occhiata a questo grafico: la volatilità implicita a 5 giorni dello Standard&Poor’s 500 è scesa da 100 a 5. Significa che nell’arco del cambio temporale fra aprile e maggio, i CTA passeranno da short a long come nulla fosse accaduto.
E in effetti, cos’è accaduto in realtà? Nulla. Lo mostrano questi due grafici: dal famoso apogeo della millanteria statunitense, il mitico Liberation Day che ha fatto eccitare i libbberisti all’amatriciana di casa nostra, sia lo Standard&Poor’s 500 che il Nasdaq sono piatti. Ovvero, sono tornati esattamente dov’erano.
Non è successo niente. Il mese dei tonfi e delle grida manzoniane al nuovo 1929 dovuto a dazi e tariffe altro non è stato che un colossale esperimento finanziario di laboratorio per operare una bella liposuzione di leverage a qualche settore/titolo troppo a rischio di trombosi del market cap. E a rimettere a posto alcune dinamiche che, quelle sì, rischiavano di fare danni (vedi al riguardo l’articolo di ieri). E adesso?
Adesso, stranamente con un tempismo che dovrebbe far riflettere, palla alla Fed. Martedì e mercoledì prossimi di riunisce il Fomc e il peso specifico di quanto deciderà sarebbe sufficiente a schiacciare il mondo intero. Anche perché, nel frattempo, sempre Scott Bessent ha annunciato come il Tesoro non intenda rivedere il calendario delle emissioni a lungo termine, ma valutando miglioramenti del programma di buyback.
Ha detto proprio così. Ovvero, non solo si sta di fatto pensando a un blitz per togliere carta dello Zio Sam dai bilanci bancari al fine di liberare liquidità nel sistema senza dover ricorrere a un Qe a pieno titolo (trattasi del già utilizzato e utilissimo Stealth Qe), ma anche, casualmente, di abbattere i rendimenti degli stessi. Poiché gli acquisti onnivori di un soggetto istituzionale chiaramente opereranno da deterrente a qualsiasi pulsione ribassista contro i Treasuries. E cosa interessa a Donald Trump, prima di tutto? Rifinanziare 7 trilioni di debito senza svenarsi entro l’autunno. Tutto come un orologio svizzero.
E che la situazione sia ormai palesemente quella di una recita a soggetto lo dimostra la dichiarazione rilasciata a Bloomberg dal ministro delle Finanze giapponese, il quale – dopo aver negato l’evidenza della vendita di titoli di Stato Usa nel corso delle montagne russe di metà aprile -, oggi ha invece minacciato quella scelta, definendola una carta sul tavolo delle negoziazioni.
Capite da soli che una cosa è operare in preda al caos, un’altra minacciare gli Usa a freddo e a bocce ferme. Difficile che possa farlo un Paese con quel debito pubblico, quella moneta in perenne necessità di ventilazione assistita nel cambio proprio con il dollaro e, soprattutto, con le proprie banche strategiche che sono accreditate presso la Fed per potersi finanziare attraverso le sue facilities di emergenza.
Tutto questo è accaduto tra la fine di aprile e l’inizio di maggio. A cavallo di tre giorni, tutto è cambiato. Una sola cosa deve far riflettere. Anzi, due. La prima è che nonostante la sell-off del 1° maggio in Cina e che aveva fatto gridare alla fine del rally, ieri l’oro è tornato a macinare guadagni nel prezzo spot. Spinto proprio dal ritorno – ancorché parziale, visto che la Borsa aurea di Shanghai resterà chiusa fino a martedì – degli acquisti asiatici. Insomma, fiducia sì, ma è sempre meglio mantenersi liquidi anche per via di accumulazione fisica.
La seconda dinamica che dovrebbe riportare tutti a un minimo di lucidità è questa: McDonald’s ha segnato un calo delle vendite negli Usa sui minimi da 5 anni. Ovvero, dal Covid. Dai lockdown. Dai ristoranti chiusi. Colpa dei dazi? O colpa del fatto che la Bidenomics ha talmente devastato il potere d’acquisto tramite l’inflazione e conseguentemente prosciugato gli extra-risparmi pandemici da costringere gli americani a rinunciare anche a un pasto da 10-15 dollari in totale?
Io non amo Donald Trump. Ma amo la realtà. E non voler capire cosa sia accaduto e stia accadendo lascia aperte solo due ipotesi. Un’ideologica avversione verso l’attuale Amministrazione Usa o una totale incapacità di analizzare i processi economici e finanziari. E non so quale delle due sia peggio, soprattutto se da applicare alla categoria professionale e sociale di chi fa (o dovrebbe fare) informazione.
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