Forse è il caso di mettere i puntini sulle i. Perché la situazione sta sempre più rapidamente degenerando. E i rischi, veri, ora cominciano a essere visibili. Concreti. Volete sapere il perché dell’enorme can can mediatico che ha accompagnato le giornate milanesi di Greta Thunberg, costellate di incontri politici ai massimi livelli? Una prima risposta arriva paradossalmente dall’altra parte del mondo. Il Giappone, laboratorio assoluto di ogni degenerazione monetaria ed espansiva, ha annunciato che utilizzerà le proprie riserve estere per investimenti in securities ESG. A confermarlo ufficialmente è stato il ministro delle Finanze, Shunichi Suzuki, fiero che il proprio Paese sia il primo del G7 a sperimentare questo tipo di approccio strategico ai cambiamenti climatici: la prossima settimana, l’operazione verrà illustrata ai colleghi durante la riunione del G20 a Washington.
Perché la mossa è strutturalmente e non solo simbolicamente importante? Le riserve estere nipponiche ammontano a 1,4 trilioni di dollari, seconde soltanto a quelle della Cina. Ma non basta. Lo special account del ministero delle Finanze giapponese che le gestisce, statutariamente opera in base a un principio profit. E quel profitto viene utilizzato per finanziare sforamenti di budget. Tokyo sta offrendo uno spoiler del nuovo mantra: il Qe, avendo perso credibilità con la sua fallimentare applicazione nel corso della pandemia (Borsa alle stelle ma economie già in rallentamento netto, inflazione alle stelle e supply chain in ginocchio) ha bisogno di una bella mano di verde, un po’ di sano greenwash per poter proseguire. E, anzi, per aumentare di volumi di controvalori.
Il solito mal pensante? Forse. Ma qualche dubbio sorge, visto che nel corso della medesima conferenza stampa di ieri, Shunichi Suzuki, ha anche confermato come il neo-Premier, Fumio Kishida, abbia ordinato un nuovo pacchetto di stimolo economico per contrastare il fall-out dei lockdown post-Olimpiadi, un extra-budget che intende veder votato dal Parlamento e approvato entro la fine dell’anno. Che coincidenza. E se ancora non bastasse, questo grafico mostra plasticamente la ragione che rende necessaria e urgente quella nuova iniezione di doping monetario: ad agosto, le spese per consumi in Giappone si sono contratte del 3,9% su base mensile, quarto calo consecutivo e ritmo di di deterioramento più rapido dallo scorso gennaio.
Insomma, qualche dubbio sulla bontà dell’approccio meramente ambientalista del Governo di Tokyo nello spingere su nuovo indebitamento appare legittimo. E la strategia, oltre a essere destinata a un’adozione su base globale, non appare nemmeno nuova, bensì di lungo corso. È stata studiata, molto bene. Lo mostra questo grafico relativo allo shock rialzista registrato dal prezzo del petrolio in questa fase di contingenza da energy crunch.
Cosa c’entra l’approccio ESG in tutto questo? Semplice, lo shock verde – inteso come implementazione quasi manu militari di una transizione che dovrebbe richiedere decenni e invece si vuole imporre in anni – è di fatto il responsabile primo dell’iper-inflazione energetica che stiamo patendo. L’intero impianto ESG implica uno shock negativo sulla fornitura di energia che internalizza i costi climatici della produzione di beni e servizi. E attenzione, perché ora si spiega anche il mantra della transitorietà ripetuto a macchinetta da tutti i banchieri centrali del mondo, di fatto i principali beneficiari di un greenwash che offra una nuova verginità al principio di Qe strutturale. Questo shock negativo sul lato dell’offerta durerà anni e non mesi o trimestri, semplicemente perché andrà a esaurirsi attraverso la sua incorporazione al ribasso nel potere d’acquisto generale solo quando il progresso tecnologico avrà assorbito gli extra-costi che oggi stanno facendo lievitare le bollette.
E cosa serve per mettere il turbo alla ricerca e alla transizione? Investimenti. A pioggia. Detto fatto, il Giappone – orfano di quel mortale esperimento chiamato Abenomics – rompe gli indugi in nome dei pinguini sudati e utilizza addirittura le riserve valutarie estere per acquistare con il badile bond legati ai criteri ESG. Ovvero, tutti. Altrimenti, nessuno avrebbe avuto l’ardire di coniare il neologismo di greenwash, la famosa passata di verde su investimenti assolutamente profit e spesso e volentieri legati a portfolios con componenti di energia tradizionale e fossile. Guarda caso, la stessa Unione europea ha basato la gran parte dell’impianto del Next Generation Eu sulla transizione verde, legando i fondi – vedi il Recovery Fund – a progetti di sostenibilità ambientale. Deficit per salvare il pianeta e non fare piangere Greta, chi è così pazzo da muovere critiche? Insomma, prepariamoci a passare a un regime di inflazione alta.
Capito perché serve forzare la mano sul clima? Come si fa a proseguire con i Qe allegri, se i prezzi salgono e si fissano ampiamente al di sopra dei breakevens, gli stessi per raggiungere i quali si è dato vita agli esperimenti di acquisti espansivi? Altro che taper, qui si sta per andare all-in. Cosa sarebbe stato saggio fare, invece? Mantenere una quota di fonti energetiche fossili disponibili fino a quando le rinnovabili non fossero state in grado di operare da driver della transizione verso la sostenibilità green. Così non è stato e, detto fatto, ci ritroviamo in pieno energy crunch. E totalmente dipendenti da chi, come la Russia, di certe manie alla Licia Colò notoriamente se ne fa un baffo. E diventa player assoluto attraverso un semplice rubinetto del gas, come ci dimostrano i giorni che stiamo vivendo e le mosse in tal senso di Vladimir Putin e Gazprom.
Sapete qual è il primo effetto collaterale? Stando a un report di Moody’s, i produttori di petrolio dovranno aumentare i loro budget dedicati alla trivellazione del 54% (arrivando a mezzo trilione di dollari) per operare un off-setting all’aumento della domanda di greggio nei prossimi anni. Altrimenti, shock nello shock e quotazioni del barile ancora più in alto. Il calcolo è semplice. Il greggio da inizio anno è salito di oltre il 50%, mentre il gas Usa ha conosciuto un aumento del 120%: sapete gli outlays di trivellazione quanto sono cresciuti a livello globale nel medesimo arco temporale? Dell’8%. Non serve un Nobel per l’economia. Serve la dittatura verde, però. Guarda caso, Alphabet – il vero padrone del mondo, insieme a JP Morgan, BlackRock e Citadel – ha appena reso noto che smetterà di finanziare attraverso la sua controllata Google quei media che contraddicano il consensus generale rispetto al cambiamento climatico. Di più, bandirà e rimuoverà dalle sue piattaforme – compresa YouTube e Google Ads – tutti i contenuti che critichino la transizione ecologica, bollandola come cospirazione o falso. Tradotto, chiunque – anche in punta di evidenze scientifiche – vada contro i bla bla di Greta Thunberg, sparirà dagli spazi virtuali più importanti e visibili del mondo. Semplicemente, un soggetto privato decide d’imperio quale sia la verità.
Se questo non è il big reset, allora dormite pure sonni tranquilli. E cominciate a scrivere la letterina a Babbo Natale. Nel frattempo, le Banche centrali torneranno a macinare debito e i governi a fare deficit. In nome del pinguino sudato. Quanto ci costerà questa follia? Preparatevi, perché il caro-bolletta attuale è soltanto un aperitivo. D’altronde, il gioco delle tre carte è già pronto: l’ESG fa esplodere l’energy crunch (e l’inflazione energetica conseguente), a cui i governi mettono mano con sgravi fiscali e interventi di sostegno ai consumatori (garantendosi consenso politico ed elettorale) finanziati di fatto con extra-deficit resi possibili dal ricorso sistemico a programmi di Qe di ispirazione ambientalista. Praticamente, il Leviatano vestito di verde. O meglio, il Faust.
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