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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » Fed & Dollaro » SPY FINANZA/ Il rischio per l’Italia di un’altra estate stile 2011

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SPY FINANZA/ Il rischio per l’Italia di un’altra estate stile 2011

Torna a emergere la minaccia che la Fed possa tagliare i finanziamenti in dollari alle banche Ue. E la cosa appare sospetta

Mauro Bottarelli
Pubblicato 17 Maggio 2025
Powell, Fed Usa

Jerome Powell, presidente Fed Usa (Ansa, 2024)

Per quale ragione la Fed dovrebbe venire meno ai suoi accordi di backstop nel finanziamento in dollari verso le banche Ue?

Ce lo dice la Reuters: With President Donald Trump’s questioning of long-held defence and trade agreements with European allies breeding mistrust, there are concerns the Fed’s position could change. Tradotto, il nulla. Una supercazzola. Visto che ormai siamo nella Summer of love di rito elvetico. O forse dobbiamo prendere atto che ora non è più lesa maestà dire chiaramente che quella di dazi e tariffe era una pantomima?


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In effetti, il fatto che Mario Draghi abbia scoperto come il caro-energia da lui attivamente sponsorizzato abbia devastato il comparto industriale europeo fa ben sperare al riguardo. Una bella glasnost dell’autolesionismo europeo. O magari una Norimberga delle quinte colonne, fra Legion d’Onore in ordine sparso e titolari di simbolica casella postale al 121 di via Vittorio Veneto. Chissà, i tempi sono gravidi di sviluppi.


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Ma partendo dal presupposto che almeno per i prossimi 90 giorni regni la pace commercial-diplomatica globale, perché – apparentemente e dopo l’allarmato report di inizio aprile dell’Eva (in base al quale 60 out of 267 banks with sizeable US exposures did not have enough dollar funding to cover them) – la Bce starebbe trattando la materia con il crisma della matter of urgency, stando almeno a Reuters? Solo precauzione? O forse le ipotesi reali sono due e sono di altra natura?

Prima ipotesi, nonostante la Bce abbia opposto un no comment e la Casa Bianca non abbia nemmeno risposto alla richiesta di conferma, c’è la quasi certezza a Francoforte che, stante i rendimenti obbligazionari in fase di esplosione, gli Usa intendano utilizzare l’Eurozona e le sue banche più esposte come detonatore di una crisi che possa armare la mano della Fed. E schiacciare quei medesimi rendimenti a un livello accettabile per il roll-over monstre che attende il debito Usa a scadenza da qui a fine anno.


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Oltretutto, senza che la medesima Banca centrale statunitense debba apparire nel panico. O, comunque, la prima a muoversi con misure emergenziali (Cina esclusa, ovviamente). Di fatto, uno scenario che renderebbe meno ridicolo il continuo siparietto fra Donald Trump e Jerome Powell. Anzi, strumentale.

Seconda ipotesi, la Bce sta a sua volta utilizzando la Fed e il suo presunto ricatto da weaponization del dollaro e delle swap lines come alibi per coprire il colossale segreto di Pulcinella contenuto nei Level 3 di alcuni istituti. E, soprattutto, la complicità degli stress test europei nel garantire uno schermo anti-rating a quelle liabilities.

A mio avviso, quest’ultimo scenario appare il più probabile. E plausibile. Ma al netto della caccia al nome del chi vuol essere agnello sacrificale che immediatamente scatta come riflesso pavloviano, forse sarebbe il caso di armarsi di sano provincialismo in questo frangente. Cioè, il colossale caos in cui si sta sostanziando il Risiko bancario nostrano, quale contraccolpo potrebbe patire da uno scossone settoriale? E, soprattutto, chi si muove e si sta già muovendo, magari sottotraccia?

L’unica certezza è che l’accountability della Bce è ormai pari a quella di Archegos, quando negava la vendita di titoli Viacom e Discovery. Forse addirittura minore. Perché di questi argomenti si tace? Perché l’unica cosa che si chiede a Francoforte è tagliare i tassi in maniera assolutamente inutile, indiscriminata, acritica e in netta contraddizione con la prosopopea da data-dependency inflazionistica durata per tutta l’uscita dal post-Covid?

L’unica risposta plausibile sembra confermare la mia seconda ipotesi. Ovvero, si tagliano i tassi come manovra da respirazione artificiale per le banche. Non certo per garantire al Signor Rossi di avere un mutuo più leggero.

E attenzione, perché da qui a pochi giorni tornano le emissioni di Btp indicizzati all’inflazione. E come si spiega il ricorso a questo strumento e la contemporanea, asfissiante richiesta di continui tagli al costo del denaro? Capite da soli come non serva un premio Nobel per l’economia. Qualcosa stona. E quando si comincia a spostare l’attenzione sul possibile incidente generato da scelte altrui (in questo caso, la Fed che blocca il finanziamento in dollari in ossequio alla strategia del demone Trump), allora è proprio il momento di guardare con attenzione dentro casa.

Perché Donald Trump insulta Jerome Powell e la sua politica di gestione della Fed ogni giorno. Più volte al giorno. Nemmeno fosse una pastiglia per la pressione. Quindi anche in questo caso gioverebbe un po’ di chiarezza e di coerenza: sono il gatto e la volpe che giocano a dissimulare per colpire al cuore l’Europa oppure la Fed rappresenta l’ultimo baluardo di indipendenza contro il despota miliardario?

Lo ripeto, quando Mario Draghi si presenta a Coimbra con l’imprimatur del salvatore dell’Europa e se ne esce con l’ammissione di come tagliare i ponti con la Russia in campo energetico ci abbia spinto sull’orlo del precipizio macro, vale davvero tutto.

Attenzione all’estate. Al Mef sanno che qualcosa in stile 2011 sia in arrivo. Ma a differenza del duo Berlusconi-Tremonti, apparentemente qualcuno a Roma avrebbe già offerto rassicurazioni rispetto a un approccio collaborativo. E chi co-firmò la famosa letterina dell’epoca? Magari non sarà Papeete 2.0. Ma qualcosa è in gestazione. Le banche francesi ne hanno bisogno. Perché la scusa della Fed che blocca le swap lines non può essere utilizzata come allarme ancora molte volte per risultare minimamente credibile e spendibile con il pubblico. Vero Reuters?

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Tags: Donald TrumpMario Draghi

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