E se gli Stati Uniti stessero seguendo l’esempio di Germania prima e Cina poi e le minacce tariffarie dell’Amministrazione Trump non c’entrassero nulla con i flussi di oro fisico che da Londra stanno raggiungendo ormai da settimane le vaults newyorchesi?
Mentre ieri mattina il prezzo dell’oro sfondava il quinto record assoluto in cinque giornate di contrattazioni, un altro milione di once fisiche era infatti arrivato nei caveau d’Oltreoceano del Comex. Dopo il milione di venerdì scorso.
Per mettere la questione in prospettiva e offrire a tutti un quadro d’insieme, solo negli ultimi due mesi qualcosa come 500 tonnellate di oro – o circa 40.000 barre da consegna – sono state recapitate silenziosamente alle 9 vaults del Comex, principalmente quelle di proprietà di JP Morgan, Brinks e Hsbc. A oggi, sotto il suolo di Manhattan (e del Delaware di Joe Biden) sono stipate qualcosa come 1.040 tonnellate sotto forma di barre. Per capirci, l’intero ammontare di riserve in oro fisico della Svizzera. Tutto in due mesi.
Ora andiamo indietro con un simbolico e immaginario rewind. Esattamente all’agosto del 2023, quando gli Usa cominciarono a loro volta a inviare oro alla Cina che ne richiedeva la consegna fisica. Era appena emerso il premio e Pechino voleva trarre vantaggio da quell’arbitraggio.
A ottobre le prime spedizioni. A novembre, addirittura la conferma del trend da parte delle bullion banks Usa coinvolte, le quali si dicevano ben disposte nel facilitarlo. Contestualmente, la domanda di oro negli Usa saliva. Quasi una compensazione dei flussi verso la Cina. Il problema? Quello in atto oggi è un overtaking dell’export verso Pechino.
Ora date un’occhiata a questo grafico, il quale non solo mostra il trend spaventoso – ormai prossimo a superare il record del Covid – dell’aumento di quelle scorte fisiche nelle vaults statunitens, ma anche la parallela dinamica dell’argento.
Ecco cosa scriveva solo la scorsa settimana Bank of America al riguardo, sottolineando come l’argento potrebbe divenire nuovamente monetizzabile da Banca centrali e Fondi sovrani:
Even small shifts in central bank FX reserves could make a difference to the white metal: at current spot prices, the silver market is valued at around $30BN versus total foreign exchange reserves of $15TN. Shifting just 1% of global reserve assets into silver would be equivalent to 5 years’ worth of silver supply. Insomma, se l’oro è il canarino nella miniera di un sommovimento sotterraneo che può rivelarsi storico, l’argento rischia di essere lo pterodattilo.
E se per la questione degli anni precedenti e degli outflows dagli Usa chiaramente la risposta risiede nella richiesta di consegna da parte di Cina e India, ora occorre porsi un altro interrogativo: perché gli Stati Uniti hanno smesso di spedire e hanno cominciato a stoccare gli inflows in casa a ritmi simili? Tutta colpa delle tariffe che Washington agita come spauracchi verso il mondo?
Un po’ troppe le once in discussione, quantomeno se rapportate a un non evento come l’imposizione di dazi che il Presidente ha preannunciato nel dettaglio fin dall’inizio della campagna elettorale. Si temeva la reazione del Messico? Si temeva la reazione di un’economia più piccola di quella del solo Texas, come spocchiosamente lo stesso Trump ha definito il Canada e le minacce di ritorsione di Trudeau? No.
Non fosse altro perché in meno di 24 ore entrambe quei Paesi si sono visti accordare una deroga di un mese. Pantomima classica. La guerra dei dazi è la nuova inflazione, segnatevelo fin da ora. Un generatore di flip-flop che Wall Street e Casa Bianca utilizzeranno senza risparmio, soprattutto quando la carta geopolitica raggiungerà il limite massimo che divide la deterrenza dal varco della linea rossa.
Ma torniamo al punto. Forse dietro a questo esodo transoceanico di oro fisico sulla rotta Londra-New York si nasconde il timore della Cina, soggetto che dal 2023 è al centro di flussi che vedevano però gli Usa come hub di partenza? In effetti, a fronte di Canada e Messico che immediatamente hanno annunciato rappresaglie dirette, Pechino ha mostrato un aplomb invidiabile.
E, soprattutto, ha una volta di più offerto l’istantanea di un mondo capovolto: dopo esserne stata oggetto di indagine e denuncia per anni, ora la Cina evoca la Wto come sede competente per dirimere la controversia sui dazi. Poi, solamente dopo il coup de theatre con Messico e Canada, Pechino ha alzato la posta. Per andare a vedere il bluff.
Ma attenzione. Questo secondo grafico ci mostra un altro, possibile perché. Stando a calcoli di Goldman Sachs, gli acquisti reali di oro fisico della Banca centrale cinese su circuiti non regolamentati sarebbero dieci volte quelli ufficiali.
Se davvero Pechino avesse in mano carta che certifica delivery di quel livello, da qualche parte si dovrà recuperare quell’oro.
Come accaduto durante il Covid, stiamo per assistere a un picco di stoccaggi emergenziali che poi si normalizzerà? E poi, quanto sta accadendo non vi pare che metta sotto una luce differente il rimpatrio totale dell’oro fisico operato dalla Bundesbank a partire dal 2016 e completato a tappe forzate nell’arco di 18 mesi? All’epoca se ne parlò, ma nessuno volle indagare le spiegazioni ufficiali e tranquillizzanti che arrivavano da Francoforte.
Qualcuno ipotizzò una mossa dettata dalla crisi dei debiti del 2011 che aveva proiettato sullo schermo dell’Eurozona lo spoiler di una possibile dissoluzione dell’euro. Più o meno ordinata. E si parlò di backing aureo per un potenziale ritorno al marco o per la creazione di un euro Tier-1 del Nord Europa.
Guardate quest’ultimo grafico, adesso. E tenendo ben in mente quanto appena letto. L’Europa finora ha visto solo minacciate le sanzioni Usa.
E il nostro ministro degli Esteri ha ampiamente dimostrato come Washington abbia ben poco da temere da Bruxelles, vista la resa incondizionata al ricatto commerciale che emerge dalle parole di Antonio Tajani.
Ma se per caso Washington applicasse davvero tariffe alle importazioni del comparto farmaceutico, cosa accadrebbe all’economia irlandese, la Tigre celtica degli investimenti esteri diretti record prima del tech, poi dell’e-commerce Usa, grazie a una fiscalità da dumping?
Quale Stato del Nord ruppe l’armonia mediterranea dei cosiddetti Pigs nel 2010-2011, stante un comparto bancario esposto in maniera a dir poco avventata a prestiti a dir poco allegri? Non a caso, la Polonia è il nuovo El Dorado degli Fdi statunitensi, gli investimenti esteri diretti. Non sarà che questi movimenti di oro possano essere definiti con un solo termine: repatriation. La ragione, per ora ancora inconfessabile ma sempre più probabile? Gli Stati nel loro insieme stanno preparandosi a utilizzare nuovamente oro e argento nel commercio. Magari come collaterale, quantomeno nei primi tempi. Il vero, grande reset.
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