La Germania sembra essere l'alleato prediletto degli Usa e per l'Italia si apre un problema non di poco conto
Nel mese di luglio gli introiti fiscali garantiti dalle tariffe Usa hanno toccato la quota record di 29,6 miliardi di dollari. A giugno erano stati 26,6 miliardi, a maggio 22,2 miliardi e a marzo 8,2 miliardi.
Oltre 78 miliardi in tre mesi, una cifra superiore a quella dell’intero anno fiscale 2024. Tenendo questo ritmo, a fine anno saremo arrivati a 308 miliardi. Un aumento di 231 miliardi rispetto al 2024.

Per mettere la questione in prospettiva, la tassazione sui redditi negli Usa ha toccato 366 miliardi lo scorso anno fiscale. Questa la realtà, l’unica che conti nella pantomima della guerra commerciale. E nel pomeriggio di martedì, puntuale, Donald Trump è tornato a mitragliare minacce in tal senso. L’Europa vedrà salire le tariffe dal 15% al 35% se non manterrà gli impegni presi.
I dazi sul comparto farmaceutico potrebbero salire fino al 250%. E a strettissimo giro di posta, l’India conoscerà il suo destino di vittime del maccartismo 2.0, rea di non prendere ordini da Washington rispetto agli acquisti di gas dalla Russia. In compenso, la Casa Bianca può contare su una negoziazione decisamente semplice con l’Ue. La quale ha immediatamente rinviato di 6 mesi le contromisure contro gli Usa.
Ora andate date un’occhiata a questo grafico. Con la sua pantomima che ormai dura da quattro mesi, Donald Trump non sta mettendo a posto soltanto il deficit (come poi potrà sostenere i tassi di interessi più bassi che continua a reclamare alla Fed è tutto da scoprire).

Casualmente, appena cominciata la mitragliata di dichiarazioni del Presidente, i titoli più shortati hanno cominciato a lievitare come torte. Un enorme, strutturale, sistemico e imbattibile short squeeze. Gli Usa sono una Repubblica fondata sulla manipolazione. E basterebbe poco a far saltare tutto lo schema. Pochissimo. Sarebbe bastato, ad esempio, evitare di presentarsi ai negoziati Ue-Cina già con l’idea aprioristica di boicottarli, altrimenti Zio Sam si arrabbia. E ci mette i dazi. Basterebbe dire a Donald Trump che il gas russo resta un’opzione, a meno che non riveda i costi del suo LNG in maniera drastica.
Basterebbe finirla con le agende green designate e tagliate su misure per le esigenze di un’America che il caso Deepseek ha già sbugiardato clamorosamente rispetto alla propria retorica di faro e avanguardia del mondo. Basterebbe dire no ai piani di riarmo scritti sotto dettatura Nato che impongono, di fatto, le politiche fiscali degli Stati membri, stante un 5% del Pil da destinare a cannoni e missili che restringe il campo di azione. E obbligherà a tagli lineari su colonscopie e borse di studio. Invece, apparentemente, fa comodo così.
Servilismo o ricatto? E se è la seconda ipotesi quella giusta per definire l’atteggiamento europeo, quel leverage a chi o cosa fa riferimento? Ricordate sempre quanto accaduto in Germania: dal rischio di Quarto Reich alla Grosse Koalition senza soluzione di continuità. In una settimana. E senza che i nazisti di AfD abbiano nemmeno allestito un gazebo per raccogliere firme. E la Germania, dal 1946 in poi, è la sala di proiezione degli interessi Usa in Europa. L’Italia, invece, il campo di allenamento. La palestra.
Perché parlo di Germania e Italia, essendo partito da una prospettiva di analisi meramente americana? La cronaca di questi giorni ha già lasciato intravedere qualcosa. Da più parti, infatti, si è notato come Berlino abbia deciso di smarcarsi da una strategia europea di contrattazione con gli Usa, quella appunto che baserebbe il suo approccio nel beau geste della sospensione dei dazi ritorsivi fino a fine anno. Insomma, il Governo Merz balla da solo. E tratta con Washington direttamente e su base bilaterale.
Ora guardate questo grafico, fresco fresco di pubblicazione del dato degli ordinativi industriali tedeschi relativi al mese di giugno. Le aspettative degli analisti erano per un +1,1%, mentre la realtà ha segnato un inaspettato -1%. Questo nonostante il flusso di front-load nelle esportazioni che ha caratterizzato i due mesi che hanno portato all’accordo siglato in Scozia fra Donald Trump e Ursula Von der Leyen.

Detto fatto, proprio ieri Berlino ha confermato il lancio di un fondo di investimento da 100 miliardi di euro per assets strategici. Ovvero, difesa, energia e terre rare. In assoluta autonomia. E un’autonomia benedetta da quella stessa Ue che ancora adesso pare tutt’altro che favorevole a una revisione del Patto di stabilità. Ma che, in compenso, vede Paesi del fronte del Nord acquistare armi dagli Usa per 500 milioni di dollari. Destinazione, Ucraina.
E unendo il dato degli ordinativi industriali di giugno con il lancio del Fondo strategico, ecco che questa prima commessa europea in favore di Kiev e soprattutto del warfare statunitense ci sussurra e ci suggerisce come Berlino si prepari alla grande ristrutturazione. Dalla berlina familiare al tank, dalla station wagon al missile.
La Germania sta – nemmeno più troppo silenziosamente – dando vita alla sua Riunificazione 2.0. Investimenti monstre, indebitamento benedetto dall’Europa come dopo il crollo del Muro, deficit che comunque rimane sotto controllo rispetto agli stessi parametri imposti da Berlino. E che permette ancora spazio di manovra. A differenza dei partner. A differenza di quello della palestra Usa in Europa. Il campo di addestramento. L’Italia, insomma.
La quale, stranamente, l’altro giorno è divenuta soggetto di un articolo di Bloomberg dal titolo che lascia aperta più di un’interpretazione. Ovvero, Italy’s shrinking “lo spread” should worry Germany. Di fatto, la certificazione di come l’Italia stia mettendo a rischio lo status di bene rifugio del Bund. E siccome tutti quanti sappiamo quale sia la ragione primaria del nostro differenziale sui titoli di Stato in doppia cifra, ovvero il reinvestimento titoli del Pepp ancora in pancia alla Bce che opera da scudo anti-speculativo, occorre unire ulteriori puntini.
Perché se per caso da settembre in sede di Banca centrale, la Bundesbank e il fronte del Nord che si ingrazia gli Usa comprando armi per Kiev, chiedesse all’Eurotower di rimettere sul mercato secondario quei Btp in base ai piani originari e non con la lentezza innescata dalla disputa sui dazi, allora la preoccupazione legata allo spread potrebbe ritornare a essere tutta sul lato italiano della barricata.
Attenzione, Berlino ha sposato totalmente la linea Trump. Berlino è il vero alleato prediletto. Roma si è rivelata, ancora una volta, nulla più che un campo di addestramento. Servono nuove alleanze. In fretta. Perché per chi non lo avesse capito, l’Italia è l’agnello sacrificale.
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