Vladimir Putin andrà a Istanbul? O manderà Serghei Lavrov? O addirittura nessuno, soltanto una proposta scritta? Chissenefrega. Fidatevi. Perché il playbook di quanto sta accadendo è già scritto.
E quando Emmanuel Macron arriva a evocare la deterrenza atomica francese da dispiegare in Polonia come monito per Mosca, occorre essere ciechi per non capire quale regia stia alle spalle. Ciechi o complici.
Non a caso, proprio ieri giungevano voci da Bruxelles relative all’accordo fra i Paesi membri per il 17° pacchetto di sanzioni contro la Russia. Timing perfetto. Non a caso, Vladimir Putin il giorno precedente aveva definito gli europei deficienti nel proseguire con questa strategia. Difficile dargli torto. Anche alla luce di quanto pubblicato dal Financial Times, sempre ieri. Ovvero, l’Europa imporrà tariffe definite transitorie alle importazioni dei suoi beni da parte dell’Ucraina.
Quindi, ricapitoliamo. Prima tagliamo i ponti con le forniture energetiche a basso costo di Mosca. Poi imponiamo 17 pacchetti di sanzioni che al Cremlino hanno fatto il solletico ma, in compenso, hanno messo in ginocchio la nostra economia. E mentre attendiamo con ansia che quanto posto in essere si sostanzi nel mitologico default russo e nella trasformazione del rublo in carta igienica, cosa decidiamo di fare? Imporre tariffe commerciali a quella stessa Ucraina a cui abbiamo elargito miliardi e per cui ci siamo tramutati in Tafazzi dal 2022 a oggi. Più deficienti di così, in effetti, è davvero dura.
Ma non basta. Il peggio è stato reso noto nel giorno in cui i mercati azionari occidentali brindavano all’accordo farsa tra Usa e Uk. Mentre Cina e Russia ne siglavano 26. Operativi. Ovviamente, i media quel giorno hanno sfoderato l’abito buono della malafede nei loro resoconti. In compenso, quel giorno la Reuters ha giocato il jolly. Ha interpellato in esclusiva il governatore della Banca centrale ucraina, Andriy Pyshnyi, il quale ha confermato come Kiev stia ragionando a un peg monetario con l’euro. Di fatto, il cavallo di Troia per l’ingresso nell’Ue. Via Bce ed Eba.
Non stupisce, quindi, rileggere attraverso una lente differente le parole di Donald Trump, a latere proprio della presentazione dell’accordo con il Regno Unito. Lasciando intendere come una discussione su dazi e tariffe con l’Ue sia più ravvicinata di quanto si pensi, il Presidente Usa – lo stesso degli europei parassiti – ha sentenziato quanto segue: Ursula Von der Leyen è fantastica, la vedrò sicuramente. Pur concordando sul fatto che, a livello di tutela degli interessi Usa, la presidente della Commissione europea sia una fuoriclasse, capite da soli come nell’aria cominci ad aleggiare il famoso cetriolo globale di Guzzanti/Tremonti. Perché basta unire i puntini, come sempre.
Donald Trump, dal primo giorno, sta trattando Volodymir Zelensky come un burattino. Prima la farsa della litigata nello Studio Ovale, poi la photo-opportunity nella Cappella Sistina. Prima lo stop a fondi e armi, poi una nuova apertura dopo la firma sullo sfruttamento delle terre rare (finora, a parole). Adesso, Kiev pare avere un sussulto di dignità. Un colpo di reni. Nel senso che, resasi conto di come la carta di credito illimitata garantita da Joe Biden sia stata bloccata dalla nuova Amministrazione, decide che forse sia il caso di sposare la scuola di pensiero della de-dollarizzazione.
Casualmente, prima che Donald Trump veda Ursula Von der Leyen. La quale, notoriamente, tifa per l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione con procedura accelerata. Con o senza lasciapassare Nato.
Casualmente, a inizio giugno l’Ucraina deve pagare 500 milioni ai suoi creditori che detengono warrants legati al Pil. E la trattativa, dopo la fumata nera di 10 giorni fa, naviga in alto mare. Guarda caso, salta fuori l’idea del peg fra grivnia ed euro. A detta di Phoenix Kalen, capo ricercatore per i mercati emergenti presso Société Générale, certamente il destino dell’Ucraina è legato all’Europa e alla difesa europea. Presa da questa prospettiva, la materia relativa alle aspirazioni politiche ed economiche di Kiev sta avanzando speditamente verso un allineamento con l’euro.
Ora, ultimo puntino da unire. La difesa di Kiev non può più contare su Washington e le sue quotidiane paturnie. Casualmente, l’Europa sta ragionando su un piano di riarmo da 800 miliardi che sta incorrendo in parecchie rogne procedurali. Vuoi vedere che una bella emergenza targata Kiev sbloccherà tutto? Capito perché Emmanuel Macron pare fare di tutto per sabotare l’incontro di oggi a Istanbul, ammesso e non concesso che si tenga?
Ora guardate questo strappo. Ci mostra il devastante rendimento che il Tesoro francese ha dovuto corrispondere in asta per collocare titoli a 12 mesi. Non più tardi di tre giorni fa.
Casualmente, il giorno dopo all’Eurogruppo è ripartito il fuoco di fila contro l’Italia per il no alla ratifica del Mes.
Unite i puntini, ora. E capirete il perché del mio apparentemente irriverente chissenefrega all’incontro di Istanbul. La partita Ucraina ora serve ad altro. E quindi segue una trama nuova.
Attenzione quindi a certe mosse e a certi rumors che potrebbero cominciare a circolare in vista dei bassi volumi estivi. Con il nostro spread sotto quota 100, nessuno farà attenzione allo short interest. Perché nessuno si attende scommesse al ribasso, quando sembriamo il Paese fiscalmente più in salute di tutti. E solitamente, i guai cominciano proprio lì. Quando il Bund, casualmente, invertirà marcia. E il nostro no diventerà arma di ricatto per chi oggi sta utilizzando Kiev come cavallo di Troia.
Scommettete che tornerà il dibattito sulla limitazione nelle detenzioni di titoli di Stato per banche e assicurazioni? Scommettete che qualcuno chiederà conto alla Bce dei ritardi nella vendita dei titoli acquistati sotto egida del programma pandemico giunti a scadenza?
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