Ricordate la scorsa estate, quando vi ho ossessionato con gli aggiornamenti rispetto alle vendite record di titoli azionari da parte di Warren Buffett, soprattutto Bank of America?
Come avrete notato dagli accadimenti delle ultime settimane, la mia non era una fisima. Come la scelta del guru di Omaha di alleggerire pesantemente (mai ossimoro fu più efficace) il suo portafoglio equity, al fine di generare un cuscinetto di cash senza precedenti, va ascritta all’albo delle sue scelte geniali.
Bene, l’altro giorno abbiamo scoperto dell’altro dalla pubblicazione dei conti di Berkshire Hathaway. Per l’esattezza, questo: Warren Buffett oggi detiene il 4,89% di tutti i titoli di debito pubblico Usa a breve termine. I cosiddetti Treasury Bills. La voce che conta è quella che fa riferimento alla seconda riga partendo dall’alto.
Direte voi, se gli Usa hanno 36 trilioni di debito, 1,2 trilioni di spesa annua solo per interessi e stanno disperatamente cercando di abbassare i rendimenti, stante circa 7 trilioni di titoli a scadenza su cui fare roll-over entro l’autunno, perché Warren Buffett si carica di carta dello Zio Sam, dopo aver brillantemente evitato il bagno di sangue equity delle ultime settimane?
Semplice. Quella carta è collaterale di prima qualità. È la pronta cassa di ogni emergenza legata alla liquidità. Se serve denaro per coprire una posizione, prima che si trasformi in margin call, si corre con un titolo a 3 mesi fra i denti e ci si finanzia. Pressoché senza problemi.
Warren Buffett sa che ci sarà scarsità di quella carta, a breve? Sa che in troppi hanno esagerato con la leva e dovranno presentarsi alla Fed con titoli a breve scadenza per evitare di finire zampe all’aria? Berkshire Hathaway vuole forse diventare il Primary Dealer di riferimento dell’Amministrazione Trump o di ciò/chi che le succederà?
Attenzione, continuo a ripeterlo: in seno al potere Usa, la guerra in atto è di quelle senza precedenti. Vi faccio un esempio. Nella giornata di martedì, cosa ha permesso un temporaneo rimbalzo a Wall Street? Le parole del segretario al Tesoro, Scott Bessent, il quale ha detto chiaramente che una guerra dei dazi con la Cina è totalmente insostenibile e che, in tal senso, Donald Trump non intende affatto perseguire un decoupling dell’economia Usa da quella cinese. Probabilmente, il 23% di aumento dei prezzi che Coca Cola ha già applicato ai suoi prodotti in Giappone deve aver operato da spoiler rispetto ai salassi prossimi venturi fra le corsie dei Walmart di mezza America.
Ma ciò che interessa è il contesto non ufficiale in cui Scott Bessent ha pronunciato quelle parole decisamente ufficiali e market mover: una riunione a porte chiuse organizzata da JP Morgan. Penso non servano commenti. Dove sta il potere negli Usa, lo sanno tutti. E il fatto che il Presidente abbia fatto marcia indietro nella sua crociata per la rimozione di Jerome Powell dalla guida della Fed fa riferimento proprio a questo: la Federal Reserve è entità politica nemica. E come insegna il cinese Sun Tzu, il nemico lo si affronta direttamente solo se è di forza inferiore. Se è nervoso, la strategia è quella di irritarlo.
E cosa potrebbe far saltare i già non saldissimi nervi del numero uno della Fed se non il fatto che il fedelissimo trumpiano e capo del Tesoro stia, di fatto, operando in sua vece e pascolando nel suo territorio? Addirittura, partecipando a una riunione a porte chiuse indetta dalla stessa banca che nel settembre 2019 impose proprio a Jerome Powell di mettere mano alle presse, dopo dieci anni di pilota automatico, generando a tavolino la crisi repo.
Se poi volete qualche indizio in più, date un’occhiata a questa schermata della versione online di Fortune: è partita la grancassa per lo stigma, la crociata mainstream per additare il capro espiatorio di turno ha alzato l’asticella dello scontro. Scomodando cifre note da anni e che la Bis ribadisce trimestralmente nei suoi report, ma che, alla bisogna, divengono immediatamente inedite. E sconvolgenti.
Gli hedge funds con il loro grado di esposizione alla leva rappresentano la peggior e più pericolosa forma di shadow banking della storia, di fatto ponendosi come rischio sistemico numero uno per il sistema finanziario.
D’altronde, la scelta non appare casuale. Una Spoon River di fondi speculativi certamente non genererà allarme. Anzi, i social traboccheranno di giubilo per questo populistico contrappasso. E per quanto esposti, in realtà un loro contagio è certamente più sostenibile e circoscrivibile con fondi di emergenza di quello di una grande banca sistemica, la quale – magari – opera da clearing a qualche trilione di derivati di un Primary Dealer. Un vero too big to fail.
Una banca a caso. Una banca che Warren Buffett, magari, ha deciso di non voler più detenere in portafoglio. Con largo anticipo su questi tempi tormentati e senza precedenti. Tout se tient.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.