Come ogni fine anno, Saxo Bank ha pubblicato le sue predizioni oltraggiose per i 12 mesi a venire. Come al solito, alcune appaiono strampalate e buttate lì senza alcun costrutto, se non per mera volontà di stupire. D’altronde, il giochino è semplice e a bassissimo rischio. Un po’ come il corrispettivo di quello scommettitore inglese che, a inizio campionato, puntò 10 sterline sul Leicester di Claudio Ranieri vincente in Premier League. La quota, ovviamente, era stellare. E in caso di sconfitta di certo non avrebbe perso il sonno per 10 sterline. Quasi un win-win. Invece, sbancò i bookmakers. Delle 10 outrageous predictions, tre però appaiono degne di nota. Una più di tutte.
A stuzzicare la mia curiosità sono state le dimissioni di Emmanuel Macron e il referendum che si terrebbe in Gran Bretagna per tornare nell’Ue (con tanto di data, 1 novembre 2023) sotto un Governo laburista. Ma, soprattutto, il prezzo dell’oro che esplode a 3.000 dollari l’oncia come reazione di un mercato – finalmente risvegliatosi – al totale fallimento delle Banche centrali nel contrasto a un’inflazione in permanente overshooting.
E qui, attenzione. Perché quest’ultima predizione è clamorosamente concordante con la dinamica appena enunciata dall’economista di Credit Suisse, Zoltan Pozsar, il cosiddetto guru del mercato repo. E cosa ci dice quest’ultimo? Che la Russia ha in mano un asso. Non militare. Bensì, geo-finanziario. Apparentemente enorme e contro cui nessuna mossa di contrasto appare efficace. L’annuncio da parte di Vladimir Putin del lancio ufficiale del petrogold, ovvero l’avvento di un nuovo regime aureo per le valutazioni del greggio. Un gold standard del barile, insomma. La conseguenza? Immediata e totalmente differente da quella che si possa pensare. Le grandi banche sovra-esposte all’oro di carta dei futures rischiano una crisi di liquidità immediata e sistemica: una colossale margin call aurea.
Quella mossa del Cremlino, infatti, farebbe esplodere il valore intrinseco dei lingotti ben oltre lo status di bene rifugio come sottolineato nella predizione di Saxo Bank, poiché lo tramuterebbe in strumento di regolamentazione commerciale. Un cosiddetto settlement medium. A quel punto, tutte le dinamiche salterebbero. Oltre a quelle legate direttamente al mercato dei derivati, infatti, verrebbero meno quelle di intermediazione finanziaria sulle materie prime, poiché apparentemente queste ultime diventerebbero soggetti primari. E, soprattutto, cavallo di Troia per bypassare il dollaro come moneta benchmark, persino in assenza di una valuta comune dei Brics come nelle intenzioni della Cina, dell’India e della Russia. Meglio dirlo subito: un’ipotesi potenzialmente letale per gli Stati Uniti intesi come sistema di potere. Quindi, totalmente inaccettabile. E da boicottare con ogni mezzo. Lecito e illecito.
E la prima ipotesi pare già entrata in azione, poiché l’apertura generalizzata all’iniziativa francese per l’Ucraina è sembrata a tutti – e da subito – qualcosa di altro e di diverso da una mera conferenza per coordinare gli aiuti occidentali a Kiev. Perché quella appariva come ragione di fondo nel comunicato ufficiale seguito all’incontro fra Joe Biden ed Emmanuel Macron. Ma il fatto che Vladimir Putin abbia immediatamente reagito all’iniziativa, segnalando come il riconoscimento dei territori annessi debba essere conditio sine qua non, mostra quale sia il vero carattere della conferenza. Non fosse altro per il fatto che, se davvero l’intento fosse stato altro, i promotori avrebbero risposto per le rime al Cremlino, sottolineando come gli aiuti all’Ucraina non fossero materie che lo interessino direttamente. Invece, dialogo. Aspro. Paradossalmente tutto incentrato solo su chiusure e precondizioni, tattica e porte socchiuse. Ma dialogo. Insomma, la Russia va blandita.
E che qualcosa si muova attorno al petrolio russo, lo dimostra anche l’accelerazione record dell’Ue nel trovare un accordo sul price cap per il greggio degli Urali, fissato a 60 dollari dopo la prima spaccatura fra Polonia e Paesi Baltici da un lato e Grecia dall’altro. Ma come una mossa penalizzante per le entrate del Cremlino potrebbe operare da conferma indiretta della necessità di trovare un accordo con Mosca, ancorché sottobanco e inconfessabile in prima battuta? Lo mostra questo grafico, il quale dimostra come la Russia stia già lavorando a una contromisura. Ovvero, l’imposizione di un floor sulle valutazioni a cui è possibile vendere all’estero il proprio petrolio, di fatto una banda di oscillazione e scostamento pre-determinata rispetto ai benchmark internazionali, oltre la quale non si potrà cedere il petrolio.
Ma ecco che, a parte un chiaro riferimento ai Paesi non ostili che fa pensare come Cina e India non subiranno alcuna limitazione, il ministro dell’Energia, Aleksandr Novak, ha reso noto come ogni tipo di risposta ritorsiva e difensiva russa è sul tavolo, ma verrà resa nota non prima della fine dell’anno. Della serie, Mosca mostra calma olimpica. E non si affanna a tranquillizzare il mercato. Non fosse altro perché dalla sua ha un’Opec+ che, mantenendo inalterati i livelli di produzione dopo l’annuncio europeo di cap, ha fatto capire chiaramente quali siano gli equilibri in campo. E attenzione, perché ieri Xi Jinping è volato in Arabia Saudita dove si tratterrà fino a domani per colloqui ai massimi livelli. Insomma, l’importatore di petrolio più grande al mondo decide di scomodarsi e andare a incontrare uno dei player principali al mondo, quantomeno a livello di cabina di regia assoluta proprio dell’Opec+. Oltre che nazione in procinto, almeno ufficiosamente, di avanzare richiesta di adesione ai Brics, dopo la mossa in tal senso di Iran e Argentina. Insomma, un Risiko colossale che potrebbe davvero operare da grande reset. E il fatto che – chi per questioni legate sia al fallimento delle strategie contro l’inflazione, chi per dinamiche geopolitiche – le aspettative di rialzo record delle quotazioni dell’oro vedono più di un soggetto finanziario concorde già nel breve termine, deve far pensare. Non fosse altro rispetto agli acquisti record di oro fisico da parte di alcune Banche centrali negli ultimi anni. Quali? Cina, India, Russia e Turchia.
L’asse del mondo sta spostandosi a Est, tanto sottotraccia quanto inesorabilmente. E non sarà certo un raffazzonato cap tutto politico a intralciare piani di questo livello. Anzi. Paradossalmente rischia di accelerarne l’attuazione. E amplificarne l’impatto.
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