Dio benedica gli ayatollah. Lo so, può apparire blasfemo. Ma datemi qualche riga e capirete il senso.
Mentre il mondo dell’informazione autorevole prosegue nel prendere sul serio l’ennesimo sketch in stile Sandra e Raimondo fra Donald Trump e Jerome Powell per la decisione della Fed di mantenere fermi i tassi, ecco che la ragione per cui questa stessa decisione appare assolutamente prudenziale, saggia e foriera di futura policy room ci è offerta dalla notizia rilanciata mercoledì mattina – nel silenzio generale – da Bloomberg.
Dopo l’entrata in scena del Tesoro con i suoi buyback di carta dello Zio Sam ormai negoziabile solo al banco dei pegni della serie TV, ecco che i regolatori decidono di muovere i pezzi da novanta sulla scacchiera.
E se quanto messo in campo a livello di riduzione dei cuscinetti di capitale nelle attività di negoziazione di debito pubblico vi sembrasse poca cosa, vi invito a prendere atto dell’ulteriore mossa di palese deregulation d’emergenza. L’intera impalcatura della Supplemental Leverage Ratio per le grandi banche pare destinata a una drastica riduzione. Per ora, almeno. Ma io mi sento abbastanza sicuro nell’anticiparvi che assisteremo a uno stop totale entro Jackson Hole. Insomma, azzardo morale all over again.
In parole povere, tutti gli accantonamenti supplementari richiesti alle banche in proporzione al capitale, retaggio del post-Lehman che già la pandemia aveva abbondantemente annacquato, vengono diminuiti, al fine di generare maggiore liquidità. Per schiacciare quei maledetti rendimenti obbligazionari che nemmeno la narrativa di guerra commerciale prima e potenzialmente atomica poi è riuscita a far schiodare dai massimi storici. E siccome ormai siamo oltre la metà di giugno ed entro fine anno occorre rifinanziare 7 trilioni di debito in scadenza a tassi non da emorragia immediata per i conti pubblici, qualcosa toccava fare.
Anche perché quest’altro grafico ci mostra quale sia la dura realtà del debito pubblico Usa sulle lunghe scadenze. Il Treasury a 30 anni negli ultimi 5 ha praticamente dimezzato il suo valore. Dimezzato.
Forse perché dal Covid in poi la Fed si è trasformata nella tipografia Lo Turco e di conseguenza quel debito in carta da parati da outlet? Un bel problema per i modelli di VaR che dovrebbero bilanciare i rischi di detenzione a bilancio di quella carta per le banche. Le quali, infatti, ora vengono graziate con una liberazione supplementare di liquidità. Una deregulation ad hoc, appunto. Il corrispettivo di una delle tante facility messe in campo negli anni, ultima delle quali il fondo salva-banche generato dalla crisi di Silicon Valley Bank e Signature Bank. Doveva durare poche settimane, di fatto è diventato strumento permanente.
Ciò che i regolatori hanno deciso subito prima del niente di fatto della Fed è quindi meno capitale da accantonare ma vincolato all’acquisto di debito pubblico. Praticamente, una deriva giapponese di cui nessuno sta parlando. Strano, no? In compenso, tutti a credere alla pagliacciata di Trump contro Powell. Capite perché a Washington ringraziano Dio per l’esistenza degli ayatollah, quindi? Perché certe cose si fanno sottotraccia. E nella penombra delle cortine fumogene.
Chapeau. Perché negli Usa possono permettersi giochi delle parti con una Fed che, a differenza della Bce, se da qui a fine anno arrivasse un crash reale potrebbe tagliare anche di 1 punto secco in una sola volta il costo del denaro, ottenendo ossigeno immediato per Wall Street. A differenza di una Bce che continua a limare senza alcun costrutto, se non far prendere aria ai meccanismi sempre più surriscaldati dei Level 3 bancari. Ma se arrivasse il crash, il Dax tedesco dei record farebbe concorrenza al Titanic.
E cosa potrebbe generare quel crash? Bella domanda. Cui è saggio rispondere con altri due quesiti. Ovvero, voi davvero avete paura dell’atomica iraniana? E davvero pensate che sia quella l’arma di distruzione di massa di cui preoccuparsi? Bene, guardate qui. Non pensate che forse una media a 10 anni della ratio di P/E del mercato azionario Usa a 40x dovrebbe inquietarci un pochino di più? E già da subito.
O forse il nucleare iraniano – che da oggi sappiamo l’Agenzia atomica non ha mai nemmeno ritenuto in dirittura di arrivo come disponibilità – è solo il pretesto per evitare che un mercato sviluppato ex-equities Usa a nemmeno 20x (già folle) prenda atto di una sovra-esposizione alla bolla di tutte le bolle, al debitore di tutti i debitori che mostra fieri i suoi buffi sotto forma di leverage?
Quest’ultimo grafico può essere intuitivamente utile per farvi notare un primo scricchiolio in tal senso. Sapete quelle piccole crepe nel muro che danno fastidio solo perché cade un po’ di intonaco? Poi, nottetempo, diventano divaricanti. Ecco, date un’occhiata al sobrio sbandamento three-sigma che il peso filippino ha patito questa settimana contro il dollaro Usa, a sua volta certamente non nel suo periodo di maggior splendore.
La Fed che non taglia sta per generare un tantrum sull’indebitamento in dollari per alcuni mercati emergenti? Stiamo sottovalutando l’epicentro scatenante del prossimo, comodo Qe che garantirà al delirante P/E di Wall Street di risultare sostenibile e al Tesoro di rifinanziare 7 trilioni di debito senza svenarsi e mostrare al mondo il Re Nudo della carta di Zio Sam? Insomma, nuova, ciclica crisi asiatica alle porte, nel silenzio generale? Anzi, silenziato dalle bombe mediorientali. E dallo sketch ormai nemmeno più tanto originale fra Donald Trump e Jerome Powell.
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